Il magazine online d’informazione ecologista Grist ha parlato nei mesi scorsi di una nuova iniziativa della mente dietro il logo I ♥ NY, il celebre designer Milton Glaser. Egli ha recentemente lanciato un nuovo logo, un cerchio verde avvolto da del fumo nero, che verrà stampato su spille e magliette con sotto lo slogan “It’s not warming. It’s dying” (“Non si sta scaldando. Sta morendo”).

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Ciò, nelle intenzioni dell’autore, dovrebbe servire a creare una nuova sensibilità ecologista, visto che finora gli allarmi sul riscaldamento globale e i cambiamenti climatici non hanno di certo smosso le coscienze dell’opinione pubblica. Che ci sia bisogno di modi più efficaci per far capire ai cittadini la portata dei rischi a cui stiamo andando incontro, è poco ma sicuro. Infatti la maggior parte delle persone avverte questi problemi ancora come lontani o troppo astratti, oppure crede che la responsabilità di risolverli spetti solo e soltanto alla classe politica.

Tuttavia se finora espressioni troppo vaghe come riscaldamento globale o cambiamento climatico non hanno di certo spinto le persone ad attivarsi, difficile che uno slogan catastrofista basato sulla morte del pianeta creerà maggiore consapevolezza. Anche perché il messaggio che accompagna il logo è falso. Per far capire come stanno davvero le cose, niente di meglio della frase del comico americano George Carlin: “Il pianeta sta bene, è il genere umano che è fottuto”. E’ vero che il genere umano sta mettendo a rischio la biodiversità del pianeta e ha già condannato all’estinzione oltre la metà dei vertebrati (mammiferi,uccelli, rettili, anfibi e pesci), ma ciò non significa che la terra stia morendo. Il pianeta si è sempre adattato a condizioni climatiche differenti, oppure estreme. Ma noi, riusciremo a fare altrettanto?

Malgrado l’iniziativa di Glaser provi a innovare la comunicazione ambientalista, anche lui casca nel solito errore di proporre concetti che per quella fetta di cittadini alle prese con problemi più concreti e reali come le bollette da pagare, l’assicurazione dell’auto o la mancanza di lavoro, saranno comunque astratti o incomprensibili. Da questo punto di vista, parlare di morte del pianeta o di cambiamenti climatici non fa differenza.

Da tempo alcuni esperti di comunicazione suggeriscono al movimento ecologista di fare leva sul desiderio innato dell’essere umano di sentirsi al sicuro e lontano dai pericoli. In altre parole, bisognerebbe concentrarsi di meno su concetti astratti come il riscaldamento globale e mostrare invece il più possibile come un clima instabile renderà le nostre vite più difficili e insicure. Parlare di temperature dei mari in aumento, gas serra e rischi per la natura potrebbe non rendere le persone più sensibili su questi temi. Ma parlare di tutte quelle conseguenze tangibili che peggioreranno la nostra qualità della vita e quella dei nostri figli, forse potrebbe fare la differenza.

Sarà parlando di meno delle minacce per gli orsi polari e di più di quelle per gli esseri umani che riusciremo a salvare i primi?

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