È un dato di fatto che i bambini occidentali passano sempre meno tempo fuori dalle mura domestiche. Se vogliamo cercare la causa, ci viene quasi naturale dare la colpa a internet, i social network e i videogame. Se gli adulti in primis passano sempre più ore al giorno davanti a uno schermo, tra computer, smart-phone o televisore, è ovvio che anche i più piccoli, i più indifesi davanti al fascino dei nuovi media, siano ancora più vulnerabili. Nel frattempo vari studi sostengono che la scioccante diminuzione del benessere tra i pre-adolescenti, tra depressione, obesità e disturbi del comportamento, sia fortemente associata a un’infanzia che passa sempre meno tempo all’aria aperta.
Allo stesso tempo, accusare le nuove tecnologie sarebbe fin troppo facile. Si calcola infatti che nelle città i parchi giochi e gli spazi pubblici o verdi in cui i bambini possono giocare tranquillamente si siano ridotti del 90% negli ultimi 30 anni. I nostri centri abitati, sempre più urbanizzati e cementificati, offrono sempre meno spazi ricreativi degni di questo nome. Inoltre, i giochi e le attività che nelle campagne verrebbero considerati salutari, solitamente in città vengono visti in modo sospetto o addirittura vietati. A questo punto è anche comprensibile che i videogame diventino più avvincenti del mondo reale e che quella che viene generalmente considerata la causa del problema, sia invece una conseguenza.
Un altro fattore non meno importante è che il mondo là fuori è generalmente percepito come più pericoloso. In passato i genitori permettevano ai propri figli di passare più tempo all’aria aperta, convinti che non gli sarebbe successo niente. Oggi invece viviamo in una società molto più paranoica che immagina la presenza di pedofili e rapitori dietro ogni angolo. Altre paure, come quella del traffico e delle auto, sono invece decisamente più reali. Insomma, anche i timori degli adulti contribuiscono a creare una barriera tra i bambini e la natura.
Qualsiasi sia la causa, il risultato è che la Natura viene sempre più spesso tagliata fuori dalla vita dei più giovani. E se le nuove generazioni perdono contatto con essa, molto difficilmente lotteranno per proteggerla o si preoccuperanno delle sue sorti.
Alcuni studi sperimentali dimostrano che gli studenti ottengono grandi benefici e stimoli dall’apprendimento all’aria aperta. Una ricerca in particolare ha mostrato come delle studentesse degli Stati Uniti che parteciparono a un viaggio in canoa di tre settimane, anche 18 mesi dopo quell’esperienza si dimostrarono maggiormente determinate, più sicure nel prendere decisioni e con una maggiore capacità di sfidare i convenzionali ruoli di genere. La scuola italiana non sembra granché preparata da questo punto di vista, visto che la maggior parte delle attività educative fuori dall’aula sono incentrate sulle visite ai musei o ad altre città.
La scuola alternativa dove ho insegnato per due anni organizza nel corso dell’anno scolastico un paio di attività educative nella natura, o in alcuni casi un viaggio collettivo in bicicletta di un paio di giorni. Questo perché la scuola non dovrebbe insegnare solo storia o matematica, ma anche educare i ragazzi a considerare la natura come un luogo familiare. Attività di questo tipo hanno inoltre l’innegabile vantaggio di sviluppare l’autostima e abituarli a stare da soli coi propri pensieri, senza avere continuamente bisogno di stimoli esterni.
La mia compagna, nata e cresciuta a Budapest, mi ha raccontato di quando diciassettenne, partecipò a un campo scolastico all’aria aperta. Un giorno la classe fu divisa in gruppi, ognuno con una mappa. L’obiettivo era realizzare un percorso di trekking all’interno di una foresta. Il professore andò avanti col suo gruppo e volutamente sparì. Gli studenti rimasti indietro dovettero cavarsela da soli. Si trattava ovviamente di un percorso “controllato” che metteva i ragazzi davanti a delle sfide senza comunque mettere a repentaglio la loro sicurezza. Alcuni gruppi si perdettero, altri ci misero un paio d’ore in più del previsto, ma tutti arrivarono al traguardo sani e salvi. Attività di questo tipo possono sviluppare abilità e capacità come nessun’altra attività scolastica all’interno di quattro mura. Ma credo che un professore in Italia non avrebbe mai la possibilità di realizzare un’attività del genere.
David Bond è un regista inglese che ha realizzato un anno fa un documentario divertente e intelligente intitolato “Project Wild Thing”. Padre di due figlie piccole decisamente troppo dipendenti dalla televisione, Bond decide di autonominarsi responsabile marketing della Natura e far riscoprire alle nuove generazioni il piacere dello stare all’aria aperta. Ricorrendo alle moderne tecniche usate per lanciare nuovi marchi e alla consulenza di alcuni tra i maggiori esperti di pubblicità e design, Bond lancerà la campagna Wild thing, il cui scopo è convincere i bambini, ma soprattutto i genitori, a ricorrere nuovamente a quell’affascinante “prodotto” gratuito chiamato Natura, un prodotto più eccitante di un parco giochi e più salutare per l’equilibrio fisico e mentale di qualsiasi medicina.
Nel frattempo la campagna Wild thing è cresciuta fino a diventare un movimento esteso in tutto il Regno Unito, anche grazie all’uso dei nuovi media. L’esempio più chiaro è dato dall’applicazione per lo smart phone Wild time, che offre ai genitori, a seconda del tempo a disposizione, idee per attività da realizzare fuori casa insieme ai propri figli. Perché Internet, se usato in modo intelligente, può anche aiutare a passare più tempo nel mondo reale.