Avere un’abitazione dignitosa è senza dubbio uno dei bisogni basici dell’essere umano ed è per questo motivo che i nostri genitori, quando hanno potuto, hanno speso una grossa fetta dei guadagni della loro età lavorativa per comprarne e pagarne una. Molte di queste abitazioni sono un ottimo specchio del relativo benessere delle precedenti generazioni. Ciò è decisamente più evidente negli USA: rispetto agli anni ’80 la dimensione media di un’abitazioni americana è passata da 167 a 232 metri quadrati. Se negli anni ’70 solo il 17% delle case aveva un soffitto più altro di 2,5 metri, nel 2000 questa percentuale raggiungeva il 52%. Se in Italia una maggiore agiatezza non è immediatamente evidente dall’aumento delle dimensioni, lo è sicuramente dalla quantità di elettrodomestici, servizi e gadget. Le moderne abitazioni hanno poco a poco inglobato pezzi di mondo esterno: invece di andare allo stadio o in un bar a vedere una partita ora c’è Sky. Invece di andare al bar ora c’è la macchinetta Nespresso. E così via.
Ovviamente per chi ha la mia età avere una casa propria sarà spesso un sogno irraggiungibile, perlomeno con le nostre sole forze e i nostri guadagni. Appartengo infatti a una generazione che deve ingegnarsi per ottenere solo in parte ciò che i nostri genitori hanno ottenuto in modo molto più agevole.
In molti casi però, la mia generazione non è nemmeno interessata a raggiungere gli standard di benessere delle precedenti, anche perché diventa sempre più evidente che certi livelli di consumo e spreco sono i maggiori responsabili della devastazione del pianeta e di molti degli attuali problemi ambientali e sociali.
Sarà per questi motivi che il movimento del Downshifting, la ricerca di uno stile di vita più semplice e sostenibile inizia a diventare manifesto anche nell’architettura. Il movimento delle tiny house (traducibile grosso modo come mini case), ancora circoscritto e sperimentale, sembra però un segno dei tempi che cambiano. Le tiny house cercano nuove soluzioni abitative minimaliste e riducono al minimo gli spazi e quindi anche gli oggetti che possiamo accumulare. Sono abitazioni che sollevano dunque la domanda: di quanto spazio, oggetti e comfort abbiamo davvero bisogno?
Questo nuovo tipo di abitazioni è pensato e studiato per farci sentire comodi in spazi ristretti. Bisogna quindi fare attenzione a non confondere una tiny house con un anonimo monolocale dagli spazi angusti.
Intanto uno studio dimostra che chi possiede una casa di questo tipo ha mediamente meno debiti, più risparmi e tempo libero. Oltre a un’impronta ecologica più bassa. Ora la sfida sta nel trovare il modo di inserire queste nuove forme abitative nel tessuto urbano. Per ora il movimento delle tiny house si sta sviluppando soprattutto in zone suburbane o rurali, malgrado nei paesi scandinavi soluzioni di questo tipo iniziano a essere utilizzate per le abitazioni studentesche.


Una volta la moglie chiese allo scrittore americano Kurt Vonnegut se non sarebbe stato meglio comprare un fax invece di andare così spesso alle poste. Lui rispose che in quel modo non avrebbe avuto l’opportunità di uscire di casa e scambiare due chiacchiere con le altre persone in coda allo sportello. Se abitazioni sempre più spaziose hanno contribuito a ridurre la nostra socialità e le nostre finanze con nuovi bisogni e dipendenze tecnologiche, vivere in spazi funzionali ma ridotti potrebbe portare, come interessante conseguenza indiretta, a passare più tempo fuori dalle nostre mura domestiche. La nostra vita sociale ne guadagnerebbe di sicuro.
Microtopia è un interessante documentario che esplora il fenomeno delle Tiny house e come architetti, artisti e designer stanno dando il proprio contributo nell’immaginare nuove forme abitative minimaliste e funzionali. Alcune sono ovviamente sperimentali e mettono a dura prova le nostre sicurezze.
Il trailer può essere visto seguendo questo link.