Virunga è stato il primo parco naturale istituito in Africa, la sua costituzione risale infatti al 1925, sotto l’allora governo coloniale belga. Situato al confine con l’Uganda e il Ruanda ed esteso quasi 8.000 chilometri, la biodiversità del parco supera quella di qualsiasi altra area protetta africana, e ciò ha giustificato la sua iscrizione nella lista del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco nel 1979.
Eppure, malgrado la sua unicità, il parco continua a essere minacciato da interessi economici e instabilità politica, il che lo rende estremamente rappresentativo dei problemi del continente.
In seguito all’indipendenza, per alcuni decenni il parco godette di una relativa tranquillità e il bracconaggio, pur non sparendo, venne tenuto sotto controllo, grazie anche all’opera dell’etologa Dian Fossey. Fossey studiò a lungo sul campo il comportamento dei gorilla di montagna dentro il parco di Virunga, tra gli ultimi esemplari rimasti sul pianeta. La sua dedizione a questi primati, che definì “dei giganti buoni dignitosi, altamente sociali, con una propria personalità e forti legami familiari”, la portò a mettere in secondo piano la ricerca scientifica per la loro difesa dai cacciatori di frodo, distruggendone le trappole e organizzando pattugliamenti. Nel 1985 Fossey venne brutalmente assassinata all’interno della sua capanna: malgrado il movente dell’omicidio non sia mai stato chiarito, le cause vanno sicuramente cercate nella sua opposizione al turismo e al commercio illegale di gorilla. Dalla sua storia nel 1988 venne realizzato un famoso film con Sigourney Weaver, “Gorilla nella nebbia”, che sensibilizzò l’opinione pubblica sulle minacce corse dai gorilla di montagna.
Tuttavia di lì a un lustro avvenne il terribile genocidio del Ruanda, che causò un milione di morti e un’altrettanto grande migrazione verso il confine col Congo, ai bordi del parco nazionale. Ampie porzioni della foresta furono disboscare e specie protette cacciate dai rifugiati al fine di garantirsi la sopravvivenza. Inoltre il conflitto sociale seguente alla crisi ruandese portò a una guerra civile che causò cinque milioni di morti e combattimenti intensi dentro il parco tra esercito regolare e ribelli. Per alcuni anni il territorio dimora dei gorilla di montagna stette sotto il controllo delle forze ribelli, con gravi timori sulla loro incolumità.
Come se non bastassero le guerre e i conflitti sociali tra le varie etnie, anche gli interessi economici mettono a rischio la sicurezza del parco. Nel sottosuolo sembrerebbero essere ospitate risorse di petrolio pari a quelle dell’Alaska. Per questo motivo nel 2010 la multinazionale inglese Soco, con l’autorizzazione da parte del governo congolese, ha avviato delle esplorazioni. Fortunatamente, grazie all’appassionante e ben documentato documentario “Virunga” del 2014, che denuncia i tentativi di corruzione e le pratiche illegali della multinazionale per ottenere le concessioni petrolifere, la Soco è stata vittima di una grandissima pressione mediatica.
Nel giugno del 2014 la compagnia, in una dichiarazione congiunta con il WWF, ha dichiarato che non avvierà nessuna attività estrattiva all’interno del parco, a meno che l’Unesco e il governo non la considerino incompatibile con la salvaguardia del parco. Dichiarazione congiunta che ha reso furiosi i responsabili di Virunga e i realizzatori del documentario: una dichiarazione così ambigua non poteva essere considerata una vittoria e rischiava di abbassare la guardia dell’opinione pubblica sulle sorti dell’area protetta.
Purtroppo sembravano aver visto giusto. Di lì a poco i portavoce della Soco hanno dichiarato che il progetto non è stato accantonato, mentre la BBC e altre testate hanno denunciato il tentativo da parte del governo congolese di rivedere i confini del parco, al fine di rendere possibile l’estrazione petrolifera. Zach Abraham, il direttore delle campagne del WWF, ha dovuto ammettere che quella per proteggere Virunga è lontana dall’essere terminata.
Ma nel travagliato e incerto presente di Virunga, non mancano i motivi per essere ottimisti. A parte un breve periodo nel 2012, dal 2008 l’area del parco in cui dimorano i gorilla di montagna è costantemente sotto il controllo del reparto dei rangers. Compito non facile, se si calcola che dal 1994 circa 140 agenti sono morti compiendo il loro lavoro. Chi fa parte del corpo lo fa con una dedizione che il regista Orlando Von Einsiedel ha messo ampiamente in evidenza nel suo documentario.
Il simbolo di questo spirito è offerto dal direttore del parco, il nobile belga Edward de Merode. Merode viene da una delle famiglie più illustri del Belgio e dopo aver lavorato in altri parchi naturali africani, nel 2008 è divenuto responsabile di Virunga. Dopo aver licenziato i dirigenti e il personale coinvolti nel nel bracconaggio e nel traffico illegale di carbone, ha avviato un nuovo corso. De Merode è considerato dai suoi uomini quasi come un personaggio mitico, anche perché condivide nel quotidiano le difficoltà del suo corpo, dormendo in una tenda da campo, guadagnando uno stipendio modesto e rischiando la vita nei pattugliamenti con fucile e mitragliatrice alla mano.
De Merode ha anche il merito di aver capito che è necessario trovare un’alternativa di sviluppo a un’economia puramente estrattiva e di saccheggio, altrimenti questo territorio dall’eccezionale biodiversità, dentro cui abitano un milione di congolesi, resterà continuamente a rischio. Grazie a donazioni esterne, Merode ha già avviato un grande progetto per la costruzione di una serie di centrali idro-elettriche che dovrebbero garantire lavoro a circa 100.000 residenti e garantire alla popolazione locale energia elettrica. E favorire così un maggiore sviluppo dell’eco-turismo, che Merode considera una opportunità di sviluppo sostenibile.
Le sue idee ovviamente cozzano con gli interessi di chi invece vorrebbe continuare a sfruttare le ricchezze come si è sempre fatto finora, senza un effettivo miglioramento della qualità della vita della popolazione locale. Alla fine del 2014 de Merode ha subito un agguato che l’ha quasi ridotto in fin di vita. Riuscito a salvarsi in modo rocambolesco, dopo poco più di un mese è tornato al lavoro, malgrado sia ora costretto a spostarsi costantemente sotto scorta e in un’auto blindata.
De Merode non parla volentieri del suo tentato omicidio ed è cauto nel fare nomi o indicare i responsabili. Ad ogni modo è chiaro a tutti che senza di lui, il nuovo corso di Virunga andrebbe incontro a grandissime difficoltà, il progetto di sviluppo si fermerebbe e la strada per trafficanti e speculatori sarebbe spianata. Per certi versi, il suo fondamentale contributo può rivelarsi un’arma a doppio taglio e rende il futuro del parco appeso a un filo come non mai.
La pagina web del documentario “Virunga” offre informazioni aggiornate sulla campagna contro la Soco e i suoi progetti di estrazione petrolifera. Tenere alta l’attenzione mediatica sul parco e manifestare il proprio supporto alla missione conservazionista dei rangers di Virunga può essere fondamentale.