Volare, no no

Se il movimento più conosciuto dell’attivismo anglosassone è quello di Transizione, che nel suo immaginario di giardinaggio, marmellate autoprodotte e torte di mele condivise coi vicini è decisamente british, un altro aspetto molto interessante ma meno conosciuto dell’ambientalismo d’Albione è l’attenzione per le conseguenze ambientali del volare.

Tutto nasce dal dibattito, vecchio ormai di un quarto di secolo, sull’ampliamento dell’aereoporto londinese di Heatrow. L’obiezione al piano inizialmente veniva soprattutto dalla conseguenza più immediata, la sparizione di un paese adiacente l’aereoporto, ma si è tinta col tempo di sfumature ecologiste per ciò che comporterebbe da un punto di vista ambientale. Infatti, con la costruzione di una nuova pista sarebbe decisamente difficile per il governo britannico centrare l’obiettivo di ridurre dell’80% le emissioni britanniche rispetto al livello del 1990, come previsto dal Climate Change Act del 2008. Infatti più piste porterebbero immancabilmente a più voli, a un maggiore consumo di combustibili fossili e pertanto a maggiori emissioni nell’atmosfera.

Tra le varie proteste realizzate negli ultimi dieci anni contro l’ampiamento di Heathrow, va sicuramente citato il Climate camp del 2007, che vide la partecipazione di 1500 attivisti e residenti che allestirono un campeggio con tende sul terreno su cui si progetta la costruzione, mentre dentro l’aeroporto stesso avvennero proteste e azioni.

 

Per lungo tempo il dibattito  sul tema è stato schiacciato tra due estremi inconciliabili, quello degli ecologisti che vedono l’aviazione civile come fumo negli occhi e quello di chi considera volare, possibilmente a basso costo, un diritto sacrosanto. Finalmente la campagna dal basso A free ride (un viaggio gratis), lanciata dall’organizzazione britannica Fellow travellers, ha fatto una proposta costruttiva che merita di essere presa in considerazione.

Fellow travellers ha diffuso un dato che ci mostra il problema da un punto di vista differente: nell’ultimo anno oltre Manica il 57% dei cittadini non ha preso nemmeno un aereo, mentre il 22% ne ha preso solo uno. Fellow travellers ha tirato le somme e ha dimostrato che il 70% dei voli nell’ultimo anno è stato preso esclusivamente dal 15% della popolazione.

 

A questo punto, tenendo conto che l’aviazione civile da sola contribuisce al 3,5% delle emissioni globali del pianeta -se il settore fosse una nazione sarebbe la settima al mondo per emissioni inquinanti-, e che questa cifra è prodotta da una ristretta minoranza che viaggia frequentemente per piacere (nel Regno Unito solo il 12% dei voli avviene infatti per lavoro), è legittimo chiedersi se sia giusto che il settore del trasporto aereo possa svilupparsi liberamente senza un tetto alla propria quota di emissioni. Soprattutto se si tiene conto che la maggior parte di questo inquinamento viene prodotto da un’elite di persone benestanti che scarica le conseguenze sul resto della popolazione mondiale. Perché bisogna ricordarsi che volare è ancora un’attività elitaria: a livello mondiale, solo una persona su venti è mai salita su un aereo.

L’obiettivo della campagna A free ride è istituire una tassa basata sulla frequenza e la distanza dei voli. Viaggiare in aereo una o due volte all’anno a/r sarebbe esentasse, ma una quantità di voli maggiore verrebbe esponenzialmente tassata, in modo da disincentivare così una pratica che nel mondo occidentale è data per scontata, ma il cui impatto sul pianeta diventa sempre più evidente. Dato che molti altri settori industriali stanno rapidamente tagliando la propria quota di emissioni, la fetta d’inquinamento a livello globale dovuta al trasporto aereo è destinata ad aumentare. Nelle intenzioni dei promotori dell’iniziativa, i guadagni provenienti dalla tassa dovrebbe poi essere utilizzati per finanziare e supportare forme di trasporto più sostenibili.

Apparentemente l’idea alla basa di A free ride potrebbe essere impopolare, soprattutto ora che che volare diventa sempre più accessibile ed economico grazie alle compagnie low-cost. Ma a ben vedere, per chi viaggia in aereo moderatamente, ossia la maggior parte della popolazione mondiale, la proposta apporterebbe solo dei benefici.

In futuro il presunto diritto di volare quanto e dove vogliamo forse verrà considerato una forma di odioso egoismo generazionale, che scarica sulle prossime generazioni le conseguenze dei nostri privilegi. Ma per ora, far partire un dibattito sul tema è già un risultato.
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Link: A free ride