Il principe bagnato di Bel Air

La siccità in California è ormai entrata nel suo quarto anno e diventa sempre più drammatica. Il governatore dello stato Jerry Brown ha imposto da tempo un taglio del 25% dei consumi idrici, mentre le campagne informative chiedono insistentemente ai cittadini di mettere in pratica piccoli gesti di risparmio idrico, dal far scorrere meno frequentemente l’acqua del water al raccogliere in una bacinella quella che scorre durante la doccia per innaffiare le piante. Queste iniziative stanno dando i loro frutti, infatti nel mese di agosto le autorità hanno comunicato che i consumi urbani sono calati del 31%. Certo non è stata solo la buona volontà dei residenti a garantire questo risultato, anche le multe salate per i trasgressori hanno avuto il loro effetto. Il caso di David Wilson, multato per 600 dollari e messo alla gogna per aver innaffiato il giardino nel giorno sbagliato, è emblematico.

 

 

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Il caso della California sta rendendo palese che la scarsità d’acqua accentua ancora di più le disparità sociali. Ha suscitato rabbia tra i cittadini vittime dei razionamenti la notizia che nel corso dell’anno almeno 50 residenze tra Beverly Hills e Bel Air hanno consumato più di 3.700.000 litri d’acqua. Mentre è già stato soprannominato il principe bagnato di Bel Air il fantomatico utente che in un anno ne ha consumati più di 44 milioni di litri, l’equivalente di quasi cento famiglie. Questa volta però, per presunte questioni di privacy, le autorità si sono rifiutate di divulgarne l’identità. Per non parlare poi di quando è diventato di dominio pubblico che la Nestlè continua, malgrado la siccità, a pompare tra i 190 e i 570 milioni di litri d’acqua ogni anno da una sorgente all’interno del Parco nazionale di San Bernardino per la sua linea di acqua minerale Arrowhead. Se già il fatto di ricavare profitti da una risorsa drammaticamente scarsa non fosse abbastanza discutibile da un punto di vista etico, a rendere ciò ancora più inaccettabile è che il tutto avviene grazie a una licenza scaduta dal 1988, la quale garantisce alla multinazionale svizzera il diritto di pompare l’acqua dietro il pagamento di un canone annuo di 500 dollari (sic). Tre organizzazioni ambientaliste, tra cui il noto progetto The story of stuff, hanno nel frattempo avviato un’azione legale contro la multinazionale svizzera.

La siccità in California non è una disgrazia che arriva dal nulla. Quando pensiamo allo stato americano ci vengono in mente il glamour di Beverly Hills o la creatività della Sylicon Valley, ma raramente la sua geografia. Lo stato americano infatti è una zona arida plasmata dall’uomo e trasformata in un’oasi verde solo a costo di enormi quantità di energia e sforzi ingegneristici. Los Angeles sorge infatti su un deserto e si approvvigiona d’acqua dal fiume Colorado, a centinaia di chilometri di distanza. Ma il desiderio di plasmare la natura senza tenere conto dei limiti naturali del pianeta si sta rivelando in California un sogno effimero. Lo storico e professore dell’Università della California meridionale Kevin Starr lo dice chiaramente: “non era nei piani di Madre Natura far vivere qui quaranta milioni di persone”.  Anche la politica inizia ad ammetterlo. Recentemente il governatore dello stato, il democratico al quarto mandato Jerry Brown ha dichiarato che “l’essere umano vive in California da più di 10.000 anni, ma il suo numero si è sempre aggirato attorno ai 300.000 o 400.000 abitanti. Siamo nel bel mezzo di un esperimento inedito: 38 milioni di persone, 32 milioni di auto, tutti che vivono o ambiscono a livelli di benessere altissimi. Non è possibile continuare così, sono necessari dei cambiamenti”.

Uno degli elementi chiave dell’identità, ma anche dell’economia californiana, è sempre stata la convinzione di avere risorse abbondanti ed economiche d’acqua. E fino a poco tempo fa ciò sembrava possibile, tra città in pieno sviluppo, verdeggianti campi da golf, ma soprattutto una fiorente industria agricola che operava in aree geografiche che senza l’intervento dell’essere umano sarebbero state altrimenti desertiche. Secondo Starr, la crisi idrica porterà i californiani a prendere atto dei limiti naturali del proprio stato e venire a patti con la realtà, ossia che la California è una regione geograficamente arida. Il risveglio dall’illusione di vivere in una fertile oasi nel deserto diventa sempre più visibile: la città di Palm Springs ha ordinato un taglio dei consumi del 50% e si lavora alla sostituzione di prati e letti di fiori con cactus e piante autoctone.

Intanto il New York Times se lo è già chiesto: malgrado Los Angeles continui a essere la capitale dell’intrattenimento e la Sylicon Valley il centro dell’alta tecnologia, è possibile continuare a esserlo in una regione dove è vietato fare docce più lunghe di 5 minuti e le bollette dell’acqua diventeranno sempre più costose? I turisti continueranno a venire? È pensabile che gli affari, le start-up e l’edilizia possano continuare a espandersi in luoghi come San Francisco? Secondo Starr lo stile di vita della regione non si trasformerà radicalmente, semplicemente bisognerà abituarsi a fare le cose diversamente. Difficile capire chi ha ragione, se si tiene conto che la Nasa ha stimato riserve idriche per un altro anno solo e molti agricoltori sull’orlo della bancarotta provano a rifornirsi d’acqua trivellando a profondità sempre maggiori alla ricerca di acqua fossile caduta 20.000 anni fa.