L’anno nero degli attivisti ambientali

Secondo il rapporto On dangerous ground dell’organizzazione Global Witness nel corso del 2015 sono stati uccisi nel mondo 185 attivisti ambientali. Si tratta di un incremento del 60% rispetto al 2014. Il paese con più vittime è stato il Brasile (55 morti), seguiti dalle Filippine (33).

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Delle 185 vittime, 67 erano indigene

Pochi mesi fa è stata uccisa l’attivista indigena honduregna Berta Cáceres, che si batteva contro la realizzazione di algune centrali idroelettriche sul territorio ancestrale dei lenca, mentre si stanno intensificando le minacce e le violenze contro l’attivista peruviana Maxima Acuña, in prima fila contro un progetto di estrazione mineraria. Cáceres aveva ricevuto nel 2015 il prestigioso premio Goldman, l’equivalente del Premio Nobel per l’ambiente, mentre Acuña è stata insignita dello stesso quest’anno.

L’omicidio di Cáceres e le violenze contro Acuña hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, ma On dangerous ground invita a non leggere questi due eventi come casi isolati, ma a inserirli all’interno di un quadro di conflitto globale contro gli attivisti ambientali.

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Omicidi di attivisti ambientali nel periodo 2010-2015

La causa dell’aumento delle violenze, secondo il rapporto, è l’aumento della domanda di materie prime come minerali, legname e olio palma. Ciò porta i governi, le compagnie e le bande criminali ad accapparrarsi nuovi territori fino a quel momento vergini.

Tenendo conto che molti degli attacchi avvengono in zone isolate e di frontiera, Global Witness teme che molti omicidi non vengano denunciati e il bilancio sia  sicuramente più grave. L’organizzazione denuncia anche che nelle aree più sotto attacco le violenze provengono da forze di sicurezza governative, ma anche da paramilitari, bande criminali e gruppi armati al soldo delle compagnie estrattive.

On dangerous ground conclude che l’ambiente e la difesa delle proprie risorse naturali stanno diventando in molte parti del mondo il vero campo di battaglia dei diritti umani. Il rapporto si chiude con la richiesta ai governi più colpiti da queste violenze di investigare sui crimini e garantire la sicurezza e i diritti delle comunità più minacciate.

Ma non è di certo secondario ricordare che  è la domanda di minerali, legname e altre risorse da parte dei consumatori a provocare indirettamente questi conflitti. E ogni volta che rinunciamo all’acquisto di oggetti non necessari, contribuiamo a disinnescarli.