Panoramica sulle mense popolari resistenti sparse per l’Italia. L’attivismo culinario non è mai stato meglio.
Pubblicato sul n. 22 FunnyVegan.
Grazie al numero in continua crescita di vegetariani e vegani, in Italia il tema dei diritti animali ha ormai raggiunto un’attenzione mediatica che fino a pochi anni fa sembrava impensabile. La qualità dei contenuti varia ancora molto, tuttavia inizia a non essere più così raro un servizio su un giornale o un programma televisivo realizzato con serietà e competenza. Pare dunque che il lavoro invisibile realizzato durante questi anni da tanti volontari e attivisti stia iniziando a dare i suoi frutti. Ma quando un movimento di emancipazione inizia ad allargare la sua base e a trovare sempre più consensi, è normale che i suoi oppositori cerchino di distorcerne il messaggio e metterlo in cattiva luce.
Una delle accuse che vengono spesso rivolte agli animalisti è la loro presunta indifferenza verso gli esseri umani, alle cui tragedie essi sembrerebbero indifferenti, presi come sono a rivolgere il loro amore solo ed esclusivamente verso i gattini. Ciò che sfugge a chi fa certe affermazioni è che l’idea alla base dell’antispecismo non è privilegiare gli animali rispetto agli esseri umani, ma semmai combattere una visione della società in cui vengono stabilite priorità tra chi soffre di più. Come dice l’attivista e autrice Raffaella Tolicetti, capocuoca sulla nave Sam Simon di Sea Shepherd, “la violenza inutile, crudele e organizzata va condannata sempre, che sia contro animali, donne, persone di paesi, culture o lingue diverse dalle nostre, perché non porterà mai nulla di buono alla società”.
Chi ha dei dubbi sull’effettivo interesse di tanti attivisti animalisti per gli esseri umani dovrebbe leggersi la storia di Food Not Bombs, movimento pacifista statunitense nato negli anni Ottanta che si proponeva di sensibilizzare i cittadini sullo spreco alimentare attraverso la preparazione di centinaia di pasti gratuiti per i più bisognosi, utilizzando esclusivamente tutto quel cibo che, benché ancora perfettamente commestibile, veniva scartato dai supermercati per questioni estetiche. Una delle peculiarità di Food Not Bombs fu l’uso esclusivo di ingredienti vegetali, visto che sfamare le persone più socialmente vulnerabili non doveva avvenire a spese di altri esseri viventi innocenti. Food Not Bombs è stato forse il primo movimento a unire i punti tra temi così diversi quali diritti animali, antimilitarismo, lotta allo spreco alimentare e per i diritti delle classi più svantaggiate.
Se in Italia Food Not Bombs non ha mai preso particolarmente piede (malgrado interessanti eccezioni come a Torino), da noi l’attivismo culinario è presente sotto altre forme, basta pensare alla rete Genuino Clandestino e alle tante mense popolari resistenti sparse per il territorio, due su tutte quella bolognese di Eat the Rich e quella livornese di Polpetta. All’interno di questo universo, che usa la pentola e la forchetta per creare un mondo più giusto, iniziano a nascere varie realtà che, oltre a preoccuparsi della qualità del cibo e della paga degna per chi lo ha coltivato con amore, inseriscono il rispetto degli animali come requisito fondamentale.
Cucina Sovversiva è una di queste, nasce a Barletta ed è un progetto politico e culturale nato con l’idea di offrire, all’interno di fiere dell’autoproduzione ed eventi culturali, dei pasti di qualità realizzati usando solo ingredienti provenienti da contadini locali e piccoli produttori “resistenti”. Per tutto ciò che non riescono a trovare sul territorio si appoggiano all’interessante progetto FuoriMercato, che è una rete di distribuzione nazionale delle autoproduzioni. Insomma, tutto ciò che finisce negli invitanti piatti di Cucina Sovversiva proviene da canali alternativi alla grande distribuzione ed è 100% vegan. “La scelta di offrire solo cibo vegan viene capita e apprezzata anche dagli onnivori che partecipano ai nostri eventi. Con il manifesto di Cucina Sovversiva chiediamo di ridurre il consumo di prodotti di origine animale a una o al massimo due volte alla settimana per questioni di sostenibilità, e perlomeno a limitare l’acquisto a prodotti provenienti da piccole produzioni” racconta Francesco, un membro del progetto.
L’interesse per gli animali – umani e non – è evidente soprattutto nella storia della Compagnia della Polenta, iniziativa milanese nata all’inizio del 2015. “Stavamo raccogliendo coperte per i cani nei rifugi quando abbiamo sentito la notizia di un homeless morto in strada per il freddo. In quel momento ci siamo resi conto che anche in un paese relativamente ricco come il nostro c’erano ancora esseri umani che morivano di freddo e stenti. Abbiamo quindi pensato di ampliare il nostro impegno anche agli animali umani, visto che degli altri ce ne stavamo già occupando” racconta Patrizia, una delle partecipanti al progetto. Visto che l’iniziativa è nata da attivisti animalisti, la scelta di distribuire pasti vegan era d’obbligo, anche se all’inizio c’era qualche timore sul modo in cui sarebbe stata accolta: “Credevamo di incontrare molte più resistenze da parte dei senzatetto. Invece, complice il fatto che i piatti cucinati sono sempre molto gustosi, l’idea è stata accolta in maniera positiva e gli homeless che ci attendono sono ogni settimana sempre più numerosi”.
La Compagnia della Polenta non fa mistero della sua filosofia e capita spesso che ciò attiri la curiosità di chi assaggia i loro piatti. “Tieni conto che alcune delle persone che aiutiamo sono musulmane e per motivi religiosi sono ancora più attente al tipo di alimentazione” aggiunge Patrizia. Visto il nome del progetto, non è di certo una sorpresa che il piatto più preparato, e soprattutto apprezzato, sia la polenta con un sugo di legumi. “Altre varianti sono pasta o riso, sempre con un sugo di legumi o verdure. Portiamo sempre della frutta fresca e quando riusciamo anche dei dolci e del tè caldo, oltre a dei vestiti”.
La Compagnia della Polenta entra in azione ogni giovedì sera e le persone che si occupano della preparazione dei pasti variano a seconda delle disponibilità, “a volte è capitato che fossimo solo in quattro a organizzare tutto. Fortunatamente ora si sono aggiunti altri volontari e tra preparazione e distribuzione arriviamo a essere in dieci”. Gli ingredienti necessari per mandare avanti un’iniziativa che serve settimanalmente sessanta-settanta pasti vengono acquistati di tasca propria, anche se ultimamente – grazie a donazioni e cene vegan benefit – stanno raccogliendo fondi a sufficienza per finanziarla.
L’idea di offrire cibo vegan ai più bisognosi, in un caso, ha avuto un clamore mediatico eccezionale. Stiamo parlando ovviamente del progetto Salvini all’Antoniano, che vede lo chef Simone Salvini impegnato ogni mercoledì a preparare il pranzo della mensa dell’Antoniano di Bologna. In aprile, il giorno dopo il pranzo inaugurale, si era sparsa sui mezzi di comunicazione, con grande copertura mediatica anche all’estero, la “notizia” che gli ospiti della mensa si erano ribellati davanti al menu vegan. Peccato che nessuno dei giornali fosse presente all’evento e che pochi abbiano dato spazio a un comunicato dell’Antoniano, che ristabiliva la verità precisando che quelle riportate come “lamentele” erano in realtà una sola battuta di un singolo ospite, mentre l’iniziativa aveva riscosso l’apprezzamento dei presenti. La mensa dell’Antoniano, che è aperta a pranzo sette giorni su sette e serve circa centotrenta pasti giornalieri, non è nuova a scelte innovative: è stata la prima in Italia a ideare una mensa popolare in cui le persone bisognose potessero essere accolte e servite quasi come in un ristorante ed è probabilmente la prima ad avere introdotto il mercoledì vegetariano e il principio secondo il quale chi non ha risorse o vive in strada dovrebbe avere ugualmente il diritto di mangiare pasti equilibrati e sani. L’idea del mercoledì vegetariano nasce dalla lunga collaborazione tra la mensa dell’Antoniano e Alce Nero e dopo due mesi sta già dando ottimi risultati: “Gli ospiti iniziano a prendere confidenza con Simone Salvini, molti si avvicinano per scambiare anche solo due parole. La nostra cuoca sta poi cominciando a mettere a frutto le competenze acquisite anche nei pasti degli altri giorni della settimana” racconta il direttore dell’Antoniano frate Caspoli.
Durante i mesi di Expo Milano, all’interno dell’iniziativa Fuori Expo Veg sono state offerte mensilmente delle cene vegane anche agli ospiti della casa di accoglienza dei City Angels in via Pollini, prevalentemente senzatetto e profughi. Caterina Mosca, una delle fondatrici della scuola di cucina vegana Baciami in Cucina, che ha collaborato al progetto, ci conferma che “la scelta veg è stata suggerita dagli ospiti, che lamentavano il bisogno di mangiare verdure crude e cotte. Da qui è partito tutto, coinvolgendo vari chef e associazioni e cucinando una grande varietà di piatti veg”. Ne avevate sentito parlare? Chissà, forse quando il cibo vegan sfama senza polemiche, la cosa non fa ugualmente notizia.