Pubblicato sul n. 29 della rivista FunnyVegan.
Claudio Moschini e Luca Bandera sono gli artefici di Veganima, il bio-ristorante vegano e spazio culturale ad Arco (TN), vicino al lago di Garda. Ma le loro storie personali, dall’attivismo LGBT a un’unione civile che corona trent’anni di vita insieme, passando per la professione di una vita di Claudio, l’infermiere, meritano di essere raccontate.
Claudio, tempo fa hai scritto una bella lettera, pubblicata su Repubblica (può essere letta qui), che ha ricevuto tanta attenzione sui social. Era una dichiarazione d’amore verso il lavoro d’infermiere, che hai svolto per quarantadue anni. La tua professione e Veganima hanno un filo conduttore?
C: Un giorno ho letto una lettera di una giovane infermiera alle prime armi che sottolineava le sue difficoltà e mi è uscito dal cuore e dall’anima risponderle raccontandole la mia esperienza. Visto che sono prossimo alla pensione, mi trovo spesso a riflettere sul significato dell’aver lavorato per tutti questi anni a contatto con persone in un momento di vulnerabilità, alle prese con una malattia o con la sofferenza. Per ciò che riguarda il veganismo, ha dato risposta a molte domande che il mondo medico non mi ha mai offerto, e per certi versi ha completato la mia preparazione sanitaria. Vedo Veganima come una continuità del mio lavoro, la scelta di alimentarsi senza prodotti animali o derivati ha una componente salutare molto importante. Lo diceva già Ippocrate: “Fai che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”.
Dopo trent’anni insieme avete finalmente avuto l’opportunità di sposarvi. Qual è stato il valore di quella scelta?
C: Per me incontrare Luca è stato karmico e fin da subito abbiamo capito l’importanza del nostro percorso insieme. L’idea di sposarci è nata dopo qualche anno ma ovviamente non era possibile, i tempi erano ancora lontani. In questi ultimi anni è tornata in noi la voglia di farlo, e appena in Italia ci è stato dato questo diritto, ci siamo uniti civilmente. L’emozione di quel momento ci ha colto un po’ alla sprovvista, ma nulla è cambiato tra noi. Semmai qualcosa è cambiato rispetto alla società: adesso abbiamo un riconoscimento dallo Stato, abbiamo accesso a sistemi che prima ci erano preclusi e possiamo costruire qualcosa assieme senza doverci premunire di protezioni legali aggiuntive. Adesso siamo una coppia come prima e più di prima. Quello che mi emoziona maggiormente però è pensare ai giovani che non dovranno vivere una vita di rinunce, non dovranno nascondersi, non dovranno lottare per diritti che sono naturali in una società matura. Per me che ho vissuto i periodi appassionati della lotta sociale per i diritti, gli anni Ottanta e Novanta, guardarmi alle spalle e vedere quanta strada abbiamo fatto è davvero entusiasmante. Allo stesso tempo, la strada del riconoscimento sociale è ancora in salita. In questi ultimi tempi il ritorno delle ideologie di destra mi ha fatto capire quanto ancora dobbiamo lavorare sia per far prevalere un’idea di società aperta, sia per far comprendere che le diversità sono una ricchezza per tutti.
Insieme nella vita e anche nel lavoro, Luca si occupa della cucina del ristorante. Alle spalle ha una formazione culinaria di lunga data. Luca, mi racconteresti la tua formazione?
L: Il veganismo inizialmente era un modo di alimentarmi in modo cosciente, ma poi come solitamente faccio quando ho una passione, provo ad approfondirla con corsi, esperienze e viaggi, in modo da adottare un approccio tanto tecnico quanto etico e filosofico. Mi è capitato lo stesso con la cucina: oltre al periodo di studio presso La Sana Gola a Milano, ho imparato tanto dalla Green School a Bali, una struttura educativa dove ho frequentato un corso di cucina crudista; immersa nel verde e costruita seguendo i più moderni criteri di sostenibilità ambientale, insegna agli alunni non solo le classiche materie scolastiche ma anche come coltivare un orto e seguire uno stile di vita integrato con la natura.
In una società che tende sempre più a chiudersi e rifiutare la diversità, il vostro locale è un luogo di apertura, anche grazie alle storie di chi ci lavora.
C: Se potessi abbatterei tutti i confini e aprirei tutte le gabbie, soprattutto quelle dell’anima, quelle che ci costruiamo dentro. Quando abbiamo iniziato ad assumere del personale, uno dei primi arrivi fu Lucia, una persona in transizione di genere. Avere con noi una persona con questa esperienza di vita, vegana per scelta, ci dava la possibilità di camminare assieme sullo stesso sentiero. Un’altra piccola storia è rappresentata da Rekam, un ragazzo albanese. Quando un’associazione provinciale ci chiese se potevamo offrirgli un tirocinio, era un minorenne senza famiglia al seguito. Un ragazzo silenzioso e dallo sguardo riflessivo, chiedeva fiducia e noi gliela abbiamo data. È con noi da quattro anni, ora è cuoco. Hanno lavorato e lavorano con noi una signora tailandese, un ragazzo spagnolo, un altro dello Sri Lanka, un altro albanese, un romeno e ovviamente tanti italiani. Non abbiamo scelto consapevolmente di essere multiculturali, la creazione di questo microcosmo è stata casuale, anche se è di grande rilevanza e vogliamo continuare per quanto possibile su questa strada.