Cristina Bowerman

Intervista con la chef stellata Cristina Bowerman

Pubblicato sul numero 31 della rivista Funny Vegan

Cristina Bowerman è una degli chef più interessanti nel panorama attuale, ma come tante donne per affermarsi come professionista ha dovuto faticare di più degli uomini. Abbiamo colto l’occasione per discutere insieme a lei di ristorazione e di come si può rendere l’ambiente paritario.

Nell’immaginario collettivo lavorare in una cucina casalinga è ancora un’attività femminile. Peccato che se si tratta di un ristorante l’ambiente diventa quasi esclusivamente maschile. Racconto spesso che quando sono arrivata da Glass, qualcuno della brigata ha preferito andarsene: un vero sabotaggio di genere vissuto sulla mia pelle. All’epoca non interessava ancora a nessuno lavorare con Cristina Bowerman. Oggi le cose sono un po’ cambiate. Prova che, nonostante le difficoltà, la carriera di una donna in un mondo come la cucina di un ristorante, che si regge su criteri fondamentalmente maschili, è un’impresa difficile ma non impossibile.

Lei è una cuoca stellata, ma anche una manager di successo nell’industria della ristorazione. Come prova a creare nei suoi ristoranti degli ambienti lavorativi paritari?

 Le uniche cose che davvero contano quando assumo una persona nel mio team sono la formazione, le esperienze professionali e il suo atteggiamento. Il mio obiettivo è proprio quello di abbassare al minimo le differenze di genere sul lavoro, dando valore solo alla competenza.

Trova che i tempi per le donne stiano finalmente cambiando?

Trovo importante che noi donne dimostriamo di poter lavorare, creare, sognare e crescere al pari degli altri, senza vederci come elementi deboli di una società basata culturalmente sulla forza. Mai pensare che il proprio sesso sia una variabile importante nel successo. Affermare “Sono una donna, non posso farlo” è solo una scusa. In Italia ci sono tantissime donne da prendere come modello, non solo chef, ma scienziate, ricercatrici, astronaute e manager. Svolgono ogni giorno ruoli fondamentali per la società, anche se spesso, purtroppo, non viene riconosciuto loro il giusto merito.

Come interpreta il clamore intorno al caso Weinstein?

Il caso Weinstein ha acceso i riflettori su un problema ignorato che esiste da sempre, ossia il trattamento delle donne come oggetti da poter sfruttare o maltrattare senza il timore di conseguenze. Mi schiero assolutamente a favore della denuncia degli abusi, anche dopo anni, e sono certa che questo momento storico segnerà per sempre la maniera in cui le donne sono trattate. Purtroppo molti media stanno gestendo queste ondate di denunce in modo sbagliato, diffondendo un’immagine delle donne come creature fragili e indifese, incapaci di dire no.

Vede dei cambiamenti positivi dentro le cucine?

Il sessismo è diffuso dovunque e a volte ha forme apparentemente innocue, basta pensare all’atteggiamento paternalistico di tanti uomini. Ma con mio grande divertimento noto sempre più donne, magari sedute a un tavolo per un meeting oppure in cucina, prendere in mano la situazione e denunciare questi atteggiamenti odiosi. Io l’ho sempre fatto ma ero una mosca bianca. Oggi invece osservo che diventa sempre più comune reagire in modo determinato e diretto.

Ha la sensazione, anche dalle richieste dei clienti, che vegetarianismo e veganismo in Italia si stiano affermando sempre di più? Come risponde coi suoi ristoranti alla domanda?

Dietro la grande popolarità del cibo bio e del consumo sostenibile c’è di certo tanto marketing, ma sono anche convinta che questo nuovo trend sia la conseguenza di un maggiore rispetto per noi stessi e per il mondo in cui viviamo. Vedo da parte dei consumatori un desiderio di semplicità e verità, di sapori perduti e agricoltura certificata. Ho sempre amato inventare cibi vegani e vegetariani, ho un menu vegetariano fisso in carta e non dico mai di no a chi mi chiede una degustazione vegana. Allo stesso modo credo che un mondo completamente vegano non sia sostenibile, così come non lo è uno completamente carnivoro. La dieta mediterranea non dice che bisogna mangiare ogni giorno proteine animali. Mi concentrerei piuttosto sulla provenienza della carne che mangiamo.

È possibile che la ristorazione vegetariana e vegana, per via della sua componente etica, sia più aperta alle donne e meno machista?

 Io sono del parere che non ci siano distinzioni. Tutto riguarda la propria personalità e attitudine, credo che l’eliminazione delle differenze avvenga con l’integrazione. Il sottolineare diversità o creare categorie protette non fa altro che prolungare il problema.

Dopo aver lavorato negli Stati Uniti, lei ha deciso di riportare quel bagaglio di esperienze in Italia. È stato duro essere presi sul serio o accettati?

Dopo sedici anni negli USA avevo bisogno di un periodo in Italia per riprendere confidenza con la pasta. Così nel 2005 tornai a Roma per uno stage in cucina al Convivio con Angelo Troiani. Mi sono trovata in un ambiente ad alto livello di testosterone. È stato divertente ma impegnativo adattarsi a una realtà completamente diversa da quella a cui ero abituata. Venendo dagli Stati Uniti, per me era normale essere giudicata e valutata in base al merito. Da subito mi sono resa conto che in Italia per una donna, in una cucina professionale ma non solo, spesso è molto più difficile essere presa sul serio. Devo ammettere che mi sono tolta le mie soddisfazioni quando alcuni dei miei piatti, forse piuttosto arditi, sono stati compresi e apprezzati.

Trova che in Italia ci siano spazio e apertura mentale per chi ha idee innovative nel mondo della ristorazione?

Sì, ma è molto complicato. L’incertezza finanziaria in cui versa il nostro Stato rende veramente arduo fare progetti a lunga scadenza. L’Italia di oggi è ancora un paese dal quale dover andare via per realizzare i propri obiettivi. Speriamo che progetti e passione possano essere contagiosi.

 

LO SAPEVATE CHE… Le cucine importanti sono sempre state storicamente precluse alle donne: nel Medioevo e nel Rinascimento le donne erano considerate in gran parte streghe e potenziali avvelenatrici, dovevano quindi stare lontane dalla preparazione dei pasti dei potenti. È dalla metà del XIX Secolo che le cucine della borghesia estera iniziano ad aprirsi al genere femminile; in Italia il percorso inizia solo con il Novecento, ma da allora non s’è più arrestato.

 

LO SAPEVATE CHE… Nel mondo della ristorazione le differenze di genere hanno tante facce. Alcune sono subito evidenti: la catena di ristoranti statunitense Hooters assume come cameriere solo ragazze di bell’aspetto, le quali sono tenute per contratto a indossare una divisa che le trasforma in oggetti sessuali e le rende spesso vittime di abusi e molestie. In modi più sottili, spesso le uniformi diversificate per camerieri e cameriere, o la regola di usare per ore scomode scarpe col tacco, ci ricordano che verso una donna che lavora in un ristorante ci sono molte più aspettative. In alcuni ristoranti di classe è ancora comune distribuire un solo menu con i prezzi. Un gesto che dovrebbe essere elegante, ma quando al tavolo siede anche un uomo quel menu viene immancabilmente consegnato alle donne, tradizionalmente sulle spese dei mariti. Infine, un paio di anni fa la giornalista americana L.V. Anderson si è chiesta se le donne ricevano panini meno sostanziosi rispetto agli uomini. Dopo aver girato quattro locali di New York insieme a un collega maschio e aver ordinato quattro panini identici, è tornata in redazione per pesarli. Se dalle interviste alcuni impiegati ammettevano di servire porzioni più piccole alle ragazze, tutti i panini della giornalista si sono invece rivelati uguali o addirittura leggermente più generosi.