Oggigiorno, viene ripetuto spesso, diventare vegani è così facile che non ci sono scuse per non esserlo. Ma se siamo arrivati a questo punto, lo dobbiamo anche a coloro che
trent’anni fa portarono in Italia questo stile di vita, in condizioni decisamente diverse, e sicuramente più difficili. Ecco le storie di tre persone che si sono avvicinate al veganismo negli anni Ottanta.
Testimonianza di Stefano Momentè
Quando sei diventato vegano? Trentadue anni fa il termine vegano era sconosciuto, a meno che non si fosse andati all’estero. Si parlava esclusivamente di scelta vegetariana. Io sono diventato vegetariano da un giorno all’altro nel febbraio del 1985. Pochissimi anni dopo, il passaggio a vegano.
Quali sensazioni associ all’essere vegan negli anni Ottanta e Novanta? Solitudine. Per molti anni ho avuto un solo amico vegetariano. Fu lui a regalarmi il mio primo libro di cucina vegetariana, ancora oggi lo conservo tra le reliquie. Ma il ricordo più grande sono lo scherno e le umiliazioni, soprattutto quando, per necessità lavorative o sociali, si doveva mangiare fuori casa. Assolutamente inenarrabili.
Puoi provare a descrivere l’atmosfera e il contesto culturale di quegli anni? L’ambiente veg era figlio di una cultura alternativa. Gli unici ristoranti vegetariani erano dei circoli culturali molto freak, che avevano avuto origine negli anni Sessanta e avevano ancora quello stampo. Per certi versi, il mondo vegano è ancora accomunato a quell’ambiente.
Quali erano le sfide dell’essere vegan negli anni Ottanta e Novanta? La sfida principale era far capire in famiglia che la nostra scelta non era un capriccio, ma qualcosa di sentito nel profondo. E riuscire a farsi quantomeno accettare. Io fino al 2001 ho deciso di stare nell’ombra, solo allora ho ritenuto che fosse arrivato il momento di dedicarmi alla divulgazione, se non altro per i miei figli e le nuove generazioni.
Rimpiangi qualcosa di quell’epoca? Solo una cosa. Che se parlavi di veganismo, nessuno ne conosceva il significato. Oggi, invece, in troppi credono di conoscerlo e se ne riempiono la bocca.
Testimonianza di Loredana Jerman
Quando e come sei diventata vegana? Sono vegan dal 1989, avevo ventotto anni. Oltre al mio piccolo gruppo in Friuli, con cui realizzavamo delle liberazioni, non conoscevo molti altri vegan. Una volta fummo ospiti di un gruppo animalista inglese. Partimmo con le nostre scorte di latte e formaggi, temendo che ci presentassero bacon a colazione; la mattina le nostre provviste erano scomparse. Le avevano buttate e ci fu data una lunga spiegazione sui metodi di allevamento. Siamo letteralmente caduti dalle nuvole, abbiamo scoperto che là gli attivisti erano tutti vegan. Al ritorno in Italia lo eravamo diventati anche noi.
Quali erano le maggiori sfide dell’essere vegan in quegli anni? Le sfide erano immense. In Italia l’ambiente vegan non esisteva proprio e l’idea stessa era considerata troppo radicale dalle stesse organizzazioni animaliste. Non c’erano neanche negozi in cui comprare qualcosa di diverso dalle marche più diffuse. Gli unici biscotti disponibili erano i McVitie’s Digestive, li vendevano solo negli Autogrill, per cui si andava in autostrada a farne scorta. Poi arrivò la soia ristrutturata nei negozi macrobiotici. Fine della scelta alimentare!
Rimpiangi qualcosa di quegli anni? Rimpiango il coraggio con cui abbiamo portato avanti le nostre scelte, ma parlerei più di forte ricordo che di rimpianto, in
quanto le nostre azioni hanno fortemente influenzato l’ambiente animalista attuale.
Che sensazione provi, dopo tutti quegli anni a essere vista come un’aliena, a sentirti circondata da persone che condividono i tuoi stessi valori? Trovo che chi si avvicina al veganismo oggi sia un privilegiato. La parola è quasi inflazionata ed è fantastico osservare intorno a me il progresso raggiunto. Ho rivisto di recente un mio compagno di lotta del tempo, oggi nel direttivo di un’organizzazione animalista nazionale. Mi ha detto che i nostri sforzi non sono stati vani: noi quattro poveri alieni abbiamo gettato le basi dell’attuale cultura vegan in Italia.
Testimonianza di Raffaella Ravasso
Da quanto sei vegan e come lo si diventava al tempo? Sono vegan al 100% dal 2004, ma ho iniziato ad alternare vegano e vegetariano dal 1989. All’epoca si prendeva molto esempio dall’Inghilterra e quando si entrava nel mondo animalista cambiare alimentazione era la prima cosa.
Quali erano le sfide dell’essere vegan negli anni Ottanta e Novanta? Era difficile esserlo al 100%, almeno per me. Le alternative alimentari erano poche e nemmeno tanto buone. Andare a mangiare fuori, poi, era un incubo. Le informazioni arrivavano più lentamente, ci si informava con libri dall’estero e ci si scambiava riviste americane e inglesi. Tutto viaggiava per posta.
Puoi provare a descrivere l’ambiente vegan del tempo? Eravamo pochi e volevamo cambiare il mondo. Sapevamo che la nostra spinta avrebbe dato dei risultati. Eravamo estremisti e incazzati. Ricordo che tutto partì dal Friuli, con degli attivisti vegani che erano anche stati arrestati per delle liberazioni. Poi anche Milano e Torino iniziarono ad avere i loro attivisti e il movimento si espanse velocemente. C’era molto fermento.
Rimpiangi qualcosa di quell’epoca? Sì, la purezza degli attivisti che davvero credevano in ciò che facevano. Ora c’è tanta moda e poco buon senso. Nel movimento vegano vedo troppe polemiche e manie di protagonismo. In realtà l’obiettivo è uno solo: fermare lo sfruttamento animale mangiando bene e rimanendo in ottima salute.