Pubblicato sul numero 3 della rivista NUUN
Riccardo Carnovalini è un pioniere del viaggio a piedi. Ha iniziato da giovane all’inizio degli anni ’80, quando la parola trekking era ancora ignota. Fin da subito la sua passione per il viaggio lento si è associata a quella per la fotografia. In quarant’anni di viaggi per l’Italia e l’Europa il camminatore e scrittore spezzino ha creato un prezioso archivio di più di 300.000 scatti, che possono aiutarci a capire come il territorio italiano si sia evoluto, purtroppo non in meglio.
Qualcuno ha calcolato che Carnovalini ha percorso coi suoi viaggi a piedi circa 40.000 chilometri, distanza pari alla circonferenza della terra. Per chi come lui è interessato più alla sostanza questi numeri poco importeranno. Chissà però che anche lui non provi una segreta soddisfazione nel dimostrare che chi va lentamente, forse va (ma soprattutto vede) più lontano degli altri.
La sua esperienza di camminatore ha fatto sì che come un novello Virgilio guidasse nel 2015 Paolo Rumiz alla scoperta della Via Appia, viaggio a piedi raccontato nel libro “Appia” (Feltrinelli).
Come è iniziata la sua avventura di camminatore?
È iniziata quando ero ragazzo. Al tempo non c’era l’abbondanza di letteratura di viaggio odierna, chi si interessava al viaggiare lento era un po’ un pioniere. Mentre i miei coetanei passavano il loro tempo in discoteca io preferivo passare un fine settimana a contatto con la natura. La passione per il camminare è andata di pari passo con la necessità di documentare fotograficamente ciò che vedevo, spesso ritornando negli stessi luoghi a distanza di anni o decenni per mostrarne i mutamenti. Il motore di tutto è stato da subito la mia inguaribile curiosità.
Come sta cambiando il paesaggio italiano?
Purtroppo sta cambiando in peggio. Il “libro Amate sponde-Testimonianze ed immagini di un viaggio di 4.000 chilometri a piedi lungo le coste italiane” (Guida editore), uscito nel 1986, documentò un viaggio realizzato l’anno prima con partenza dalla costa adriatica sul confine con l’allora Jugoslavia e arrivo a Ventimiglia cinque mesi e mezzo dopo. Ci muovemmo sulle orme del fotografo Italo Zagnier, che negli anni ’60 aveva realizzato un viaggio simile, seppure in auto. Sovrapponendo le sue foto alle mie si può avere un’idea delle dimensioni della cementificazione in atto in Italia già allora. Le cose purtroppo stanno solo peggiorando: nel Belpaese viene cementificata una superficie pari a Piazza Navona ogni due ore. Anche lo spopolamento delle montagne sta avendo un impatto ecologico e sociale spesso sottovalutato.
Che reazione suscita quando si aggira zaino in spalla?
Con lo sviluppo di forme di turismo alternativo il camminatore non è più un alieno. Tuttavia l’aggirarsi a piedi per il territorio crea spesso un corto circuito nei residenti. Devo notare che nel Meridione, in una terra che immagineremmo aperta e ospitale, il viandante zaino in spalla viene visto con un po’ di diffidenza. Col tempo ho notato anche una tendenza a una minore ospitalità. Tuttavia nel libro “PasParTu. A piedi senza meta nell’Italia che si fida” (Edizioni dei Cammini) ho raccontato con Anna Rastello anche quell’Italia che apre la porta di casa agli sconosciuti, dando fiducia a chi giunge all’improvviso a scompigliare il tran tran quotidiano.
Come fa convivere il suo desiderio di lentezza in un mondo che va sempre più veloce?
Anche io vivo in un mondo che va a velocità sostenuta e non facilita una vita più lenta e meditativa. Come tutti, mi trovo spesso a fare dei compromessi, ma col tempo son riuscito a creare il mio piccolo mondo ai margini del consorzio umano. Vivo isolato in montagna, ho un orto, mi scaldo con la legna tagliata personalmente e uso un cellulare dell’epoca dei dinosauri. Ridurre le necessità materiali e rendere la mia vita più semplice mi aiuta a poter vivere un po’ più secondo i miei desideri.
Tra lavoro, impegni familiari e un numero limitato di ferie all’anno, è possibile viaggiare lentamente?
Proust diceva che l’unico vero viaggio non è andare verso nuovi paesaggi ma avere altri occhi. Il viaggio odierno annulla le distanze, elimina tutto ciò che esiste tra il punto di partenza e quello d’arrivo, come se quella distanza fosse una seccatura. Il viaggio come lo intendo io è invece fatto di storie segrete e minime, sotto i nostri occhi ma spesso invisibili. Viaggiare per me significa uscire dall’auto, riscoprire noi stessi e i luoghi dietro casa, belli e brutti, che meritano di essere conosciuti e amati. Sono cose che possiamo fare quasi tutti i giorni.
Quindi il viaggio lento non è solo un modo per scoprire tesori nascosti.
Può essere anche quello, ma non solo. Paradossalmente anche camminando in una landa di capannoni industriali possiamo trovare delle sorprese. Potremmo scoprire che, malgrado l’imbruttimento del paesaggio, c’è ancora a pochi passi il greto di un fiume con il suo habitat. Perché il bello e il brutto nel nostro Paese sono sempre estremamente vicini. E non esiste un luogo solo bello o solo brutto. C’è sempre un mondo complesso che ci aspetta quando usciamo dai soliti percorsi, qualsiasi essi siano.
Come vede l’attuale popolarità dei cammini, da quello di Compostela alla nostrana via Francigena?
Temo che anche lì ci sia un po’ quell’ansia del viaggiatore interessato più a un timbro su una credenziale e a un traguardo che a un percorso. Anche se reputo l’attuale boom dei cammini un fenomeno positivo, sempre però che si continui il cammino con esperienze nostrane, magari inventandosi i propri percorsi, o avventurandosi su quelli che fanno meno “curriculum” ma hanno più sostanza. Camminare è libertà di andare dove ci pare e non dove vuole la moda.
Quando cammina a cosa pensa?
Provo a rompere la dittatura del cervello e a non pensare, lasciando spazio agli altri sensi, a quei sensi che nella vita quotidiana vengono normalmente sacrificati oppure mortificati. Non sono in sintonia con il solvitur ambulando (camminando si risolve ndr) di Diogene di Sinope perché ritengo che, a differenza della velocità che semplifica, la lentezza espone alla complessità del mondo. Perciò, se ogni viaggio mi ha arricchito, al contempo mi ha complicato la vita, senza mai portarmi a risolvere nulla.
Qual è il numero perfetto per un viaggio a piedi?
Due è una moltitudine, tre è già un esercito. Il viaggio a piedi, come lo immagino io, è un viaggio fatto in silenzio. Mentre in un gruppo più numeroso si creano dinamiche sociali, si parla, si scherza e quindi si perde il rapporto profondo con la terra che si attraversa.
Qualche consiglio per camminatori della Franciacorta e del bresciano, sulla sponda meridionale del Lago d’Iseo?
Un percorso che mi sento di consigliare è quello che parte da Brescia (Villaggio Badia) e raggiunge il lago d’Iseo in due giorni, attraversando colline e paesi e offrendo piacevoli panorami. In internet si trovano indicazioni precise in merito. Alle vicine Prealpi bresciane ho dedicato un passaggio nell’ambito di un lungo viaggio che ho raccontato in “Le Prealpi a piedi-Il Grande Sentiero Airone dalla Valsesia all’Istria” (Giorgio Mondadori). Ma sono trascorsi già trent’anni, un bel pezzo di vita che ho speso per conoscere e far conoscere la nostra sconosciuta Italia.