Così lontano, così vicino

Pubblicato su #32 di FunnyVegan

Con l’aumento esponenziale dei vegani, nascono anche nuove riviste a tema, ognuna con
una sua personalità e un suo taglio. Abbiamo deciso di saperne di più su alcune interessanti pubblicazioni vegane nel panorama internazionale.

INTERVISTA CON JULIE GUERASEVA, FONDATRICE DI LAIKA MAGAZINE

Come descriveresti Laika?
L’essenza di Laika è lo storytelling: storie coinvolgenti su individui che provano a cambiare la società, su idee rivoluzionarie e fatti d’attualità. I nostri sono contenuti che una qualsiasi persona colta e curiosa troverebbe interessanti e che, guarda caso, sono anche vegani. Per me il movimento per i diritti animali è un movimento di giustizia sociale valido e va trattato con rispetto e integrità. Su Laika abbiamo standard giornalistici pari a quelli delle riviste più rispettate e ogni storia è ricercata accuratamente. Ci si può trovare, ad esempio, un pezzo che si interroga sull’opportunità della scelta vegana nel femminismo e lo fa intervistando un professore di filosofia di un’università prestigiosa.

Laika dà molto spazio alle storie di donne vegane ed emancipate. È una scelta?
Le donne sui media sono spesso banalizzate e, anche se Laika è letta da uomini e donne, troviamo importante concentrarci su queste ultime. Oltre a combattere per la parità dei sessi, il femminismo dovrebbe anche fermarsi a celebrare le donne. La rivista ci dà l’opportunità di mostrare donne vegane determinate e sfaccettate. Per noi la celebrazione delle donne avviene anche dietro le quinte: a eccezione di due articoli, sull’ultimo numero tutti i pezzi sono stati illustrati, fotografati e scritti da donne.

Esiste una ricetta per rendere una rivista vegana appetibile anche a chi non è interessato al tema?
“Se lo costruisci, loro verranno”. È una frase dal celebre film L’uomo dei sogni ed è un po’ il mio motto: se offri storie avvincenti e crei uno stile grafico immediatamente riconoscibile, riuscirai ad attirare dei lettori, vegani o meno. A Laika non interessa annacquare i contenuti per raggiungere i non vegani. Miriamo dritto alla sensibilità e al potenziale di ogni lettore, fiduciosi che sarà in grado di capire anche concetti un
po’ più complessi.

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Qual è il tuo obiettivo con il magazine?
Il primo è utilizzare media e arte per smantellare lo specismo e far sì che le persone riflettano seriamente su come gli animali vengono trattati nella nostra società. L’arte ha un ruolo fondamentale nei movimenti di giustizia sociale e in quello per i diritti
animali non fa eccezione. Il secondo è confortare i lettori, offrirgli qualcosa che li aiuti a
sognare. Viviamo in tempi difficili e la gente brama voci autentiche e genuine. Con Laika voglio anche far aumentare il numero delle persone vegane e aiutare i vegetariani nella transizione al veganismo. Ma è altrettanto importante ricordare ai vegani perché lo sono e farli sentire orgogliosi di esserlo.

Come riuscite a conciliare l’anima militante con temi più leggeri?
Il veganismo è uno stile di vita variegato e va rappresentato come tale. Proviamo a combinare in modo audace le diverse anime del movimento, passando da un articolo sui mattatoi al profilo di un fashion designer. Visto che essere attivisti può avere un un costo emotivo e psicologico e il rischio di esaurimento nervoso è reale, è estremamente importante sintonizzarsi anche su temi più leggeri e positivi, senza essere frivoli. Storie serie e divertenti possono coesistere, ovviamente cerchiamo di essere strategici: se un articolo contiene informazioni complesse, facciamo in modo di combinarlo con una parte visiva invitante.

INTERVISTA CON ERIC MIRBACH, FONDATORE DI VEGAN GOOD LIFE

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Dove e perché è nata Vegan Good Life?
Vegan Good Life è nata nel 2014 a Bonn, anche se la sede ora è a Berlino. Abbiamo percepito che c’era un vuoto, non esisteva una rivista con un approccio interessante alla dieta vegetale e abbiamo pensato di colmarlo, parlando non solo di cibo ma anche di arte, design, viaggi e moda. Sono convinto che il migliore apporto all’attivismo vada fornito con le abilità in cui si eccelle già. Visto che di professione sono fotografo ed
editor e ho lavorato a lungo per altre riviste, creare Vegan Good Life per me è stata una cosa ovvia.

Come descriveresti la rivista?
Vegan Good Life offre una prospettiva raffinata e molto curata sulla controcultura vegana, con contributi dal meglio della moda, dell’arte e del design.

Da dove prendete ispirazione per il taglio grafico e i contenuti?
Ci siamo concentrati su ciò che a nostro parere mancava nelle riviste vegane tradizionali e che avremmo invece voluto includere. Ho esperienza professionale nel campo delle sottoculture giovanili, pertanto riviste come Highsnobiety e Desillusion mi hanno influenzato sul piano artistico e dei contenuti. Il lavoro degli altri due membri della redazione, Aglaja Brix & Florian Maas, si richiama invece alla fotografia francese d’alta moda. Insomma, giochiamo e mescoliamo i nostri riferimenti culturali e vediamo dove ci portano. Il nostro è un approccio artistico ed eclettico.

La vostra rivista ha intenzionalmente un’attitudine sofisticata. È solo per vegani stilosi?
Facciamo la nostra parte per mantenere stiloso il veganismo, siamo convinti che sia necessario per renderlo attraente ai vegani e a chi vuole flirtare col movimento, pur non essendo vegan. Certo, anche se la parte visiva della nostra rivista è accattivante, chi non vuole capire le motivazioni del veg non cambierà la sua vita grazie a noi.

 

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Da non perdere
Chickpea è una rivista quadrimestrale statunitense, perfetta per ispirare i lettori a cucinare di più e a vivere in modo più consapevole. Ogni numero è una via di mezzo tra un mini libro di cucina vegan e un cosiddetto
coffee table book. La parte grafica è straordinariamente curata. Chickpea ospita in ogni numero contributi da scrittori, illustratori e fotografi sempre diversi, il che rende ogni uscita un mondo a sé.