Pubblicato sul numero 37 della rivista FunnyVegan
Jamie Margolin ha fondato nel 2017 insieme alla sua amica Nadia Nazar l’organizzazione climatica giovanile #ThisIsZeroHour. In gergo militare, l’ora zero è l’orario previsto in cui ha inizio un’operazione. Margolin ha preso in prestito l’espressione per applicarla all’attivismo ambientalista: questo è il momento storico in cui bisogna agire per salvare l’umanità dal riscaldamento globale. Secondo il prestigioso magazine statunitense Grist,
Margolin ha coniato una delle espressioni più importanti del 2018 in campo ambientale. In breve tempo la sedicenne di Seattle è diventata una delle più note attiviste climatiche mondiali under 18. Ma come racconta in quest’intervista, se l’attivismo è diventato il migliore antidoto all’ansia provocata dai cambiamenti climatici, per fare la differenza così giovani può essere necessario diventare adulti precocemente.
Com’è iniziato il tuo attivismo ambientalista?
Tutto è nato da paure esistenziali, ero preoccupata per il mio futuro su un pianeta sul quale incombe una catastrofe ecologica. Ispirata dalla Women’s March avvenuta a Washington nel 2017, ho immaginato i giovani del paese marciare per il clima. Insieme con delle coetanee che condividevano gli stessi valori abbiamo creato il movimento #ThisIsZeroHour, dopo infnite ore di lavoro. Da allora abbiamo organizzato azioni, proteste, attività di lobby e siamo diventati un’organizzazione a tutti gli effetti.
#ThisIsZeroHour ha un approccio molto trasversale, attento alle questioni di genere e alle discriminazioni razziali.
È importante capire che la giustizia climatica è la chiave per qualsiasi altro tipo di giustizia: se pensi che negli States il 69% degli impianti a carbone è stato costruito in prossimità di comunità a maggioranza nera, mentre ventimila persone all’anno muoiono nello stesso paese a causa dell’inquinamento atmosferico, la maggior parte provenienti da zone economicamente vulnerabili, capisci che i cambiamenti climatici vanno affrontati per quello che sono realmente, il risultato di vari sistemi di oppressione che uniti diventano una ricetta perfetta per la fine del mondo. Per questo motivo collaboriamo e lavoriamo a stretto contatto con comunità svantaggiate e minoranze.
Molti adulti considerano i giovani di oggi, per via del loro stile di vita consumista e la mancanza di attivismo, ugualmente responsabili dell’attuale crisi climatica.
Controllo la rabbia a stento quando sento questi commenti. Le generazioni precedenti hanno creato un sistema economico totalmente dipendente dall’utilizzo dei combustibili fossili, hanno permesso a numerose corporation di sfruttare le risorse naturali come se non ci fosse un domani, ma la colpa è nostra per avere ereditato la loro distruzione? Trovo nauseante che gli adulti ci abbiano lasciato questo casino e poi ci facciano la morale per non risolverlo più rapidamente.
Hai sedici anni. Per via del tuo attivismo stai sacrifcando la tua adolescenza?
Assolutamente sì. Lavoro costantemente e sono spesso stremata. Alla mia età i giovani dovrebbero essere divertenti, fare cose sciocche, uscire con gli amici o innamorarsi per la prima volta. Ma per me e molti altri giovani impegnati in #ThisIsZeroHour è tutta un’altra storia. A volte i miei genitori si arrabbiano perché non passiamo abbastanza tempo insieme. L’attivismo mi porta a fare tanti sacrifci e a volte anche la mia salute ne risente. Ma non potrei immaginare le mie giornate diversamente, dedicare il mio tempo alla causa è ormai naturale.
Qual è la reazione della gente a #ThisIsZeroHour?
La reazione è molto positiva, veniamo presi seriamente e molti sono impressionati dalla nostra capacità organizzativa e di mobilitazione, collaboriamo alla pari con numerosi altri movimenti e campagne climatiche. Certo, a volte veniamo anche trattati con paternalismo: alcuni si sentono in diritto di dire ai giovani attivisti, soprattutto se sono ragazze, cosa e come dovrebbero farlo.
Quali abitudini hai cambiato da quando hai iniziato a interessarti ai cambiamenti climatici?
Ho iniziato a utilizzare di più i mezzi pubblici, a mangiare meno carne e prodotti animali e a comprare vestiti solo quando ne ho davvero bisogno: in generale mi sono liberata dalla trappola consumista che ci induce a desiderare oggetti che non ci servono.
Ti senti in ansia per il futuro?
In passato l’eco-ansia mi paralizzava, potevo passare ore nella mia stanza a piangere sopraffatta dalla minaccia incombente del riscaldamento globale, sentivo il dolore di un pianeta morente, degli animali e degli esseri umani che soffrono per via dei cambiamenti climatici. Leggevo per ore articoli catastrofsti e pensavo che la mia vita non avesse senso, visto che la vita stessa di questo pianeta sarebbe presto giunta al termine. A un certo punto ho capito che questo atteggiamento non serviva a niente: non stavo dando un contributo alla causa, in più il mio benessere mentale ne stava risentendo.
Attualmente mi concentro molto di più sulle cose su cui posso avere un impatto diretto, mi circondo degli attivisti entusiasti che collaborano a #ThisIsZeroHour e provo a leggere meno notizie negative. L’attivismo è diventato un antidoto alla disperazione. Certo, a volte sento ancora il peso emotivo dell’attuale crisi ambientale, ma non le permetto più di paralizzarmi. Ho capito che sentirci impotenti davanti a questi problemi non aiuta il pianeta, aiuta solo gli oppressori che li hanno creati.
È nata una nuova generazione di attivisti climatici. Segni particolari? Sono giovani e non la mandano a dire alle generazioni precedenti.
Greta Thunberg
È la più celebre. La quindicenne svedese ha lanciato lo sciopero per il clima: saltando la scuola ogni venerdì e sedendosi solitariamente davanti al Parlamento svedese per protestare contro la mancanza di misure drastiche contro il riscaldamento globale, ha ispirato migliaia di studenti in tutto il mondo a fare lo stesso. Celebre il suo discorso all’ultima Conferenza ONU sul clima, in cui ha inchiodato la classe politica attuale alle proprie responsabilità: “Dite di amare i vostri bambini sopra ogni cosa, malgrado gli stiate rubando il futuro davanti ai loro stessi occhi”.
I giovani di Standing Rock
Poteva essere una sconosciuta campagna ambientalista locale, una comunità indigena Sioux che protesta contro un oleodotto progettato per passare attraverso la loro riserva
nel Nord Dakota, mettendone a rischio le risorse idriche. Ma i giovani adolescenti della comunità di Standing Rock, grazie all’uso sapiente dei social media, sono riusciti a trasformarla in un simbolo mondiale di resistenza, ottenendo appoggio e supporto internazionale. Il presidente Obama aveva bloccato il progetto, con Trump le cose si sono complicate.
Riikka Karppinen
All’epoca quindicenne, la giovane consigliera comunale fnlandese avvia una battaglia nel suo piccolo comune della Lapponia contro un progetto di sfruttamento minerario. Utilizzando il suo ruolo istituzionale, Karppinen prova a opporsi a un modello economico che in cambio di effimeri benefici immediati scarica sulle generazioni future tutte le conseguenze ambientali. La lotta entra anche tra le mura domestiche: il padre, minatore, è invece a favore del progetto. La storia è stata raccontata nel documentario “Activist” di Petteri Saario, premiato all’ultima edizione del Festival CinemAmbiente di Torino.