Davvero salva la vita dei ciclisti? La risposta non è così scontata
Pubblicato sul n. 41 della rivista FunnyVegan
Quello tra bicicletta e auto è un rapporto da sempre conflittuale, e regolarmente, a rendere le cose ancora più incandescenti, torna alla ribalta il dibattito sulla necessità del casco per i ciclisti. Obbligo che in Italia potrebbe presto, almeno in parte, diventare realtà: all’inizio di luglio 2019 la Commissione Trasporti lo ha approvato per i minori di dodici anni, ora la palla passa a Camera e Senato. Ma al di là della battaglia ideologica, indossare una protezione serve davvero? Alcuni dati: secondo uno studio norvegese, pubblicato nel 2018 dall’Institute of Transport Economics di Oslo, il caschetto riduce del 48% il rischio di trauma cranico e del 60% il rischio di gravi lesioni alla testa. Utilizzarlo può salvare la vita e infatti le principali associazioni italiane di diffusione della mobilità a pedali, tra cui FIAB, Legambici, Salvaiciclisti e Famiglie senz’auto, consigliano di farlo.
Tuttavia in un comunicato stampa congiunto queste organizzazioni hanno espresso la propria contrarietà a qualsiasi legge che lo renda necessario, evidenziando i limiti e le controindicazioni di questa misura. Secondo uno studio svedese, una legge che ne ha imposto l’uso ai minori in età scolare ha portato in Svezia a una drastica riduzione dell’utilizzo delle due ruote. Trend confermato da un’altra ricerca in Australia: in seguito all’obbligo, l’uso della bici per andare a scuola tra gli adolescenti si è ridotto del 30%. Insomma, parrebbe che leggi di questo tipo rendano l’uso della bici meno “cool” e ne scoraggino l’utilizzo. Potrebbe sembrare un’obiezione risibile, ma va presa seriamente: visto che vari studi concordano sul fatto che migliori condizioni per i ciclisti vengono garantite dalla cosiddetta sicurezza nei numeri (cioè maggiore è il numero dei ciclisti, minore è la probabilità per chi pedala in città di essere vittima di un incidente), leggi di questo tipo paradossalmente rendono le forme di mobilità dolce meno sicure.
L’obbligo di proteggersi la testa, poi, sembrerebbe avere anche delle controindicazioni per la sanità pubblica. Harry Rutter, esperto britannico di salute pubblica, fa notare che nel Regno Unito circa 85.000 morti all’anno sono correlate con uno stile di vita sedentario, decessi che invece un utilizzo regolare delle due ruote contribuirebbe a prevenire. Secondo il ragionamento di Rutter, i vantaggi e i benefici per la società dell’andare in bici superano di gran lunga i rischi, e andrebbero pertanto implementate direttive che ne incentivano l’utilizzo e ne aumentano l’appeal, piuttosto che disincentivarlo. Secondo altre ricerche poi, l’utilizzo del casco offre una maggiore sensazione di sicurezza e può rendere il ciclista più spericolato, portandolo a realizzare manovre più azzardate.
Un curioso test psicologico dell’Università di Bath sulla percezione dei rischi, condotto nel 2016, invitava dei volontari a partecipare a un gioco d’azzardo davanti al computer: ad alcuni veniva chiesto di farlo indossando un caschetto da ciclista, ad altri un semplice cappello da baseball. Conclusione? Chi indossava un casco era portato a osare di più. Mentre da un altro studio realizzato nel 2006, sempre dall’Università di Bath, è emerso che quando un ciclista guida protetto le auto tendono ad avvicinarsi in media di 8.5 cm in più, forse perché agli occhi di un automobilista sembra più esperto, forse perché inconsapevolmente si pensa che, in caso di collisione, il ciclista ha comunque la testa “al sicuro”.
esperti di sicurezza trovano piuttosto frustrante l’attenzione eccessiva verso questa singola misura. Se in una città l’uso della bici è un’attività pericolosa, l’obbligo del casco diventa una semplice toppa su un problema rimasto irrisolto. Con sole otto vittime per ogni miliardo di chilometri pedalati, l’Olanda è il paese al mondo dove pedalare è più sicuro. Merito di piste ciclabili e infrastrutture che separano la mobilità automobilistica da quella dolce. Piuttosto che chiedere al ciclista di proteggersi nell’eventualità di un incidente, in Olanda si è deciso di creare una pacifica convivenza tra auto e due ruote, separandole. Anche nei Paesi Bassi infatti, riporta il blog olandese di bici Bicycle Dutch, la maggior parte dei decessi tra i ciclisti è ancora causata dalle auto.
Ma andare in bici in Italia, in fin dei conti, è così pericoloso da giustificare questa misura protettiva? Secondo un rapporto Istat del 2018, in Italia ci sono stati 219 ciclisti morti in incidenti stradali. Una cifra che desta preoccupazione, ma a fronte di 609 pedoni, 685 motociclisti e 1420 automobilisti deceduti nel corso dello stesso anno, la bicicletta resta ancora il modo più sicuro per spostarsi in città. Anche perché, sempre secondo l’Istat, in caso d’incidente i ciclisti con ferite gravi alla testa sono l’8% del totale, mentre automobilisti e pedoni subiscono ferite di questo tipo rispettivamente nel 40% e 39% dei casi. Se l’obiettivo è dare sicurezza sulle strade ai cittadini, occorrerebbe intervenire sulle cause vere, che sono la velocità dell’automobile e la guida distratta dall’uso degli smartphone e dagli effetti di alcol e sostanze stupefacenti.