Aleksej Voevoda, l’uomo di ghiaccio

Il caso di Aleksej Voevoda. Campione olimpico, vegano, ma anche atleta squalificato per doping e parlamentare con Putin.

Pubblicato su FunnyVegan n. 40

Ogni volta che Aleksej Voevoda ha vinto una medaglia ai giochi olimpici invernali, la stampa si è soffermata su questo inusuale sportivo russo. Prima di tutto per la disciplina, il bob, uno di quegli sport invisibili e snobbati per quattro anni, che improvvisamente durante le competizioni olimpiche mostrano tutto il loro fascino. Voevoda ha il ruolo del frenatore, colui che spinge il bob per quindici metri all’inizio della discesa, momento che può determinare il successo di una gara. Necessaria di certo una forza notevole nelle braccia e qui arriviamo al perché Voevoda attira tanto l’attenzione: lo sportivo russo arriva infatti da un’altra disciplina, ancora più inusuale: l’arm wrestling, o per dirla all’italiana, il braccio di ferro. Voevoda ne è uno dei maggiori campioni, al punto da essere tra i pochi ad aver sconfitto John Brzenk, considerato la leggenda vivente dell’arm wrestling; esiste addirittura un documentario intitolato “Pulling John” a raccontare questa straordinaria vittoria.

La circonferenza del bicipite di Voevoda è di 67 centimetri, esistono video in cui lo si può vedere allenarsi con un manubrio di 115 chili, equivalente al suo peso, e farci cinque flessioni. In più, colpo di scena, Voevoda è anche vegano, il che lo rende ancora di più un personaggio interessante per la stampa sportiva, visto che mette in discussione tutti gli stereotipi sulla forza fisica, il consumo di carne e prodotti animali. In un’intervista concessa all’organizzazione PETA, Voevoda spiega di essersi avvicinato alla dieta vegana con un approccio scientifico, al fine di migliorare le sue performance, ma di essersi successivamente interessato anche all’aspetto etico. Voevoda afferma poi che “[…] nella mia disciplina flessibilità ed elasticità sono incredibilmente importanti e mangiando vegano le ho aumentate entrambe. Il mio corpo è diventato più leggero, più pulito”.

Voevoda sarebbe il perfetto testimonial della dieta vegana, se non fosse per i chiaroscuri. L’atleta russo ha vinto una medaglia d’argento nel bob a quattro alle Olimpiadi invernali di Torino nel 2006, una di bronzo nel bob a due in quelle successive a Vancouver e un oro a Soči nel 2014 in entrambe le specialità. Tuttavia, si è visto annullare questi due ultimi risultati nel 2017 dalla commissione disciplinare del Comitato Olimpico Internazionale a causa di violazioni delle normative antidoping. Voevoda non l’ha presa bene; quando ha ricevuto l’annullamento delle sue vittorie a Soči il suo commento è stato: “Provate a venire nel mio paese a riprendervele (le medaglie)”. Inizialmente squalificato a vita, nel 2018 il Tribunale Arbitrale dello Sport, dopo aver preso in esame il suo ricorso, ha confermato la squalifica comminatagli dal CIO, annullando tuttavia il divieto di partecipare a future edizioni delle Olimpiadi. Nel 2016 però Voevoda si è lanciato in una nuova impresa, diventando un parlamentare eletto col partito Russia Unita del presidente Vladimir Putin, noto per le sue posizioni omofobe, sessiste e ostili all’impegno della società civile. In un profilo Instagram ad alto tasso di machismo e nazionalismo Voevoda indossa a volte magliette con l’immagine del suo idolo politico, appare spesso in tenuta mimetica e frequentemente in un poligono di tiro alle prese con armi d’assalto.  Immaginiamo i vegani come individui in grado di connettere questioni importanti come i diritti animali, umani e civili in modo trasversale. Ma casi come quello di Voevoda ci ricordano che l’idea del vegano come persona illuminata spesso si scontra con la realtà. Si può essere vegani e negare i diritti LGBTQI, si può essere vegani e fare commenti sessisti o lasciarsi andare su Facebook al body shaming più becero. Forse, più che alle etichette, bisognerebbe dare maggiore peso alle azioni e alle parole. Quelle sì che fanno capire chi può essere davvero un modello da seguire.