L’Ungheria è la prima democrazia europea a capitolare davanti al Covid-19, anche se incolpare il virus sarebbe miope. È dal 2010 che il primo ministro ungherese mette a punto indisturbato il suo modello di democrazia illiberale
Noti studiosi dei populismi come Cas Mudde avevano messo in guardia sul rischio che la pandemia di Covid-19 potesse essere sfruttata da alcuni governi per svolte autoritarie. Un rischio che si è appena materializzato nell’Ungheria del premier Viktor Orbán, da anni osservata speciale dell’Unione europea per via delle sue politiche liberticide. Il 30 marzo Orbán si è fatto attribuire dal Parlamento ungherese i pieni poteri senza limiti temporali: potrà abrogare leggi già votate in precedenza mentre non potranno tenersi elezioni finché queste misure resteranno in vigore.
Il governo aveva già dichiarato a metà marzo uno stato d’emergenza che richiedeva una proroga da parte dell’Országház (il Parlamento ungherese) ogni 15 giorni. Con un gesto di responsabilità politica l’opposizione ungherese si era detta disposta ad approvare un decreto che avesse durata di 90 giorni, prorogabile fino a quando la pandemia non fosse terminata. Ma forte della sua maggioranza assoluta, Orbán non ha messo da parte il suo atteggiamento belligerante e ha rifiutato soluzioni bipartisan: dopo aver incassato il 23 marzo il “no” della Camera a una prima votazione in cui era necessaria una maggioranza dei quattro quinti, il 30 marzo la legge d’emergenza è passata a una seconda tornata, in cui era sufficiente la maggioranza dei due terzi, con 137 voti favorevoli e 53 contrari. Davanti a chi lo accusa della deriva dittatoriale, Orbán ha risposto cinicamente che i pieni poteri possono essere ritirati dall’Országház in qualsiasi momento. Ma controllato com’è dal suo partito Fidesz, nessuno si illude che il Parlamento eserciterà mai questa prerogativa. La ministra per la giustizia Judit Varga ha rassicurato che “sarà evidente per tutti quando in Europa la pandemia sarà conclusa”, ma c’è chi teme che in un modo o nell’altro si giustificheranno a oltranza le misure d’emergenza: a distanza di quattro anni sono ancora in vigore quelle prese nel 2016 durante la crisi migratoria.