La distruzione degli habitat ne facilita la diffusione. Ecco perché è fondamentale monitorare le aree a rischio

Pubblicato il 17 aprile 2020 sulla Stampa Tuttogreen

Foto di Ria Sopala su Pixabay

Nessuno ha dubbi che coronavirus sarà la parola dell’anno, ma anche il termine scientifico zoonosi, che definisce il salto di un agente patogeno da una specie animale all’essere umano, ha buone probabilità nel 2020 di uscire dal mondo accademico. Sì, perché la minaccia che tanti immaginavano appartenesse ormai al passato è più reale che mai: negli ultimi 10 anni circa il 75% delle nuove malattie che hanno colpito l’umanità è stato trasmesso da animali o da prodotti di origine animale, si legge nel sito dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare.

Non succede per caso, al contrario: con la distruzione degli habitat naturali e l’antropizzazione del pianeta l’essere umano sta avendo un ruolo fondamentale nella diffusione globale delle infezioni, e gli esempi non mancano: nel 1996 in Gabon un focolaio di Ebola colpì il villaggio Mayibout 2, in un’area caratterizzata da disboscamento, costruzione di strade dentro aree naturali e attività minerarie; mentre una zona rurale della Malesia nel 1999 venne colpita da un’epidemia di Nipah, un virus che provoca devastanti problemi neurologici. Il fattore scatenante fu probabilmente un pipistrello portatore del virus che fece cadere un pezzo di frutta masticato su un allevamento di maiali a ridosso della selva, portando al contagio anche tra gli esseri umani, delle 276 persone infettate, 106 morirono. In Occidente le cose non vanno meglio: negli Stati Uniti lo sviluppo di nuove aree suburbane ha portato alla frammentazione delle foreste e ha fatto aumentare il rischio di contrarre la malattia di Lyme, trasmessa dalle zecche infettate con questo batterio, mentre in Australia la mancanza di cibo a causa del degrado ambientale ha attirato nelle aree urbane e nei pascoli i pipistrelli portatori del virus Hendra.

Per combattere il rischio sempre più frequente di nuove epidemie, alcune organizzazioni scientifiche propongono un approccio olistico, basato sul concetto di salute del pianeta e un’interazione più sostenibile tra le sue componenti umane, animali e naturali. Fortunatamente alcune iniziative simili sono già attive da tempo.

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