Storia di una corsa in taxi in Montenegro, in cui niente è come sembra
Sono le 10.30 di una giornata di agosto a Bar. Non ho dimenticato una i, Bar è una città sulla costa del Montenegro che, guarda te, si trova davanti a Bari, dall’altro lato dell’Adriatico. Sto insieme alla mia compagna sotto la tettoia di una fermata dell’autobus, attento a non farmi investire: le auto salgono sul marciapiede come fosse una corsia extra, è uno di quei momenti in cui gli stereotipi sui Balcani diventano reali.
L’idea è andare a Budva, città sulla costa famosa per il suo centro storico, a un’ora da Bar. Mentre aspettiamo il bus, in ritardo di quindici minuti, ci avvicina un tizio pelato sulla quarantina. Ha al collo un cartellino con scritto taxi e una fototessera, nella foto ha ancora un sacco di capelli e ci metto un po’ a capire che è la stessa persona. Inizia a parlarci con un mix di parole inglesi e altre lingue che non capisco. Il tassista prova a spiegare che il bus è in ritardo per via di un incidente, con le mani mima uno scontro orribile, se la sua simulazione è reale ci saranno stati un sacco di feriti, anche se mentre ricostruisce l’accaduto lo fa con un sorriso sulle labbra, forse è solo una drammatizzazione a fini commerciali.
Il tassista si chiama Ivailo, ci chiede dove andiamo e si offre di portarci a Budva per 5 euro. L’offerta non è affatto male, col bus risparmieremmo solo un paio di euro. Per non finire in una trappola per turisti ripetiamo varie volte Budva e 5 euro, lui ci sorride e risponde sempre sì, ha un modo di fare che ti fa sentire speciale, poi quando scopre che sono italiano, sembra ancora più felice, quasi che farmi salire sul suo taxi sia un vero onore, anche se lo so che vuole solo i nostri soldi.
Entriamo nel suo taxi, un vecchio Mercedes bianco anni ’80 e partiamo con una colonna sonora di musica turbofolk. Ivailo è di buon umore, è un tizio estroverso, il lavoro di tassista gli calza a pennello. Prova a spiegarmi, è quello che più o meno capisco, che ha lavorato in vari posti, in Croazia e anche in Italia, su cosa facesse resta molto misterioso e risponde in modo evasivo. Mentre attraversiamo Bar Ivailo suona costantemente il clacson e saluta i passanti, deve essere una persona estremamente popolare. Sembra leggermi nel pensiero, visto che mi guarda e mi dice “I’m a big man, very popular man!”, mentre lo dice passa affianco a un poliziotto che dirige il traffico, mette la mano fuori dal finestrino e gli batte un cinque. “Very good friend, very good man”, dice del poliziotto, ma subito dopo aggiunge: “Carabinieri, not good men, difficult men”. Quando parla dei carabinieri il suo viso di colpo si contrae in una smorfia di tristezza, come se fosse stato vittima di ingiustizie troppo grandi da raccontare. Immagino qualche problemino con le forze dell’ordine italiane e decido di non indagare sull’accaduto.
Ivailo non smette di parlare un secondo, ogni volta che passiamo per un centro abitato ci dice il nome della località, accompagnato da “history town, beautiful town”, anche se nella maggior parte dei casi vediamo solo schiere di palazzi grigi e casermoni anonimi. Ma quando intravediamo in lontananza una città, Ivailo fa un cenno che non capisco, come se fossimo già arrivati. Siamo in viaggio da una mezz’ora, strano, Budva non era a un’ora di distanza? “Quella è Budva?”, chiedo. Nei suoi occhi appare di colpo uno sguardo di terrore, come se di colpo avesse ricevuto una notizia terribile. “Ma dove devi andare, a Buda, o Budva?” chiede nel suo strano esperanto. Inizio a capire che c’è qualcosa che non va e ripeto il nome della mia destinazione, carico il suono della v, capisco che quella lettera è fondamentale. Ivailo alza gli occhi al cielo, ripete “oh no no, ahi ahi ahi”, ho quasi la sensazione che la mia risposta gli abbia provocato del dolore fisico. Se iniziasse a sbattere la testa contro il volante, la cosa non mi sorprenderebbe. Diventa chiaro che aveva capito Buda, città a trenta minuti da Bar, invece di Budva, a un’ora e passa. Divento nervoso, Ivailo continua a guidare, di colpo silenzioso e pensieroso, lo vedo che pensa. “Budva very very far, Budva very expensive, Buda very beautiful, history town!”, la butta lì. Vuole mollarci a Buda e tornare indietro.
Nei racconti di Kafka c’è sempre un momento in cui la situazione paradossale inizia a prendere forma, il protagonista potrebbe bloccarla sul nascere prima che si srotoli con effetti mostruosi, ma non lo fa. Da quel momento è condannato. Visto che non voglio fare la fine di K. alzo la voce, dico che eravamo stati chiari, avevamo detto Budva e ora ci deve portare a Budva. Ivailo sembra sorpreso dalla mia reazione e dice “ok, ok, Budva, sorry, very little little English”. Il taxi ora è carico di tensione, regna il silenzio, interrotto a intervalli regolari dal mormorio di Ivailo, che ripete “Budva, Buda, ahi ahi”.
Mentre guardo scazzato fuori dal finestrino penso che questa corsa in taxi per Ivailo è destinata a finire, dal punto di vista del guadagno, in modo disastroso, anche se mi dico che non è un mio problema. Ma all’improvviso mi balena un pensiero, quasi fosse una rivelazione, una cosa chiara fin dall’inizio e solo ora evidente: “È stato tutto premeditato, è semplicemente una trappola per turisti in cui siamo cascati come due fessi”. Impossibile che Ivailo non abbia capito la nostra destinazione, probabilmente il trucco sta nel fingere un malinteso, portarci a destinazione, ma farci pagare poi il doppio o il triplo, ne sono sicuro. Con la mia ragazza proviamo a parlare in codice, nessuno dei due capisce cosa sta succedendo. Ma quando Ivailo inizia a ricevere chiamate al cellulare, la mia ragazza inizia a impallidire e ad andare in paranoia. Iniziamo a immaginare scenari ancora più drammatici, se al telefono ci fossero dei complici parte della truffa che chiedono quanto manca? Ivailo imboccherà una stradina, ci saranno ad aspettarci i suoi amici, ci rapineranno e quando lo racconteremo tutti ci diranno che ce la siamo cercata. Iniziano a tremarmi le gambe, mi ripeto che non c’è niente da temere, è stato un semplice malinteso, tuttavia sto viaggiando in auto con uno sconosciuto, senza sapere dove mi sta portando e quali sono le sue intenzioni. A rendere tutto più surreale ci pensa Ivailo, nel frattempo ha iniziato a fare cose senza senso, sembra vedere auto civetta della polizia ovunque, “civil polizia, not good, not good, ahi ahi ahi”, ripete tra sé e sé a intervalli regolari, e prova a condividere questa sua certezza con altre macchine, facendo segno con le luci dell’auto oppure abbassando il finestrino e gridando cose incomprensibili alle vetture che viaggiano nell’altra corsia, che ovviamente non ci sentono. Non capisco più il perché delle sue azioni, il che mi inquieta ancora di più.
Il taxi continua la sua corsa, non imbocca nessun viottolo sospetto e finalmente inizio a vedere cartelli stradali che indicano la via per Budva: Ivailo ci sta davvero portando a destinazione, chiudo gli occhi, cerco di trattenere una risata nervosa per stemperare la tensione. Capiamo che si è rassegnato all’idea di portarci a Budva perché ora prova a caricare sul taxi chiunque respiri, con scarso successo. Un saccopelista a bordo strada gli risponde che non ha soldi, Ivailo gli risponde come se cantasse una canzone “no money, no taxi”, forse questa canzone in Montenegro esiste davvero perché a intervalli regolari, per il resto del viaggio, Ivailo ripeterà questa frase come se fosse un ritornello. Ora che il pericolo sembra scongiurato, riprendo a rimanere affascinato dal nostro tassista. Da un lato prova affannosamente a riempire l’auto, dall’altro accoglie con genuino stoicismo i vari rifiuti.
Intanto mi chiedo: se è stato un equivoco, di chi è la colpa? Avrei dovuto pronunciare quella V con più forza? Quanto mi costerà quella V? Riuscirò a restare fermo nella mia convinzione di non sborsare un euro in più rispetto a quanto pattuito senza impietosirmi? Anche questa volta Ivailo sembra leggermi nel pensiero e parte all’attacco, raccontandomi della sua famiglia e dei suoi cinque figli, è convincente e infatti inizio a sentirmi una brutta persona per il fatto di non voler scucire un euro in più. Se per colpa di come pronuncio le v oggi i suoi figli dovessero saltare la cena?
Mentre penso a queste cose, arriviamo finalmente alle porte di Budva. E’ arrivatoil momento di mettere insieme i pezzi della storia e rispondere alle domande irrisolte. Era un trucco collaudato per fregare turisti sentimentali? O Ivailo è semplicemente un tassista un po’ sfigato? Il suo taxi accosta all’ingresso della città e mi dice che non può continuare perché “traffic traffic, cars cars, Budva cars cars”. Ci sta lasciando a mezz’ora a piedi dal centro ma non vediamo l’ora di scendere. Cerco il portafogli e guardo Ivailo con la coda dell’occhio, non dice niente, nessuna parola, nessuna richiesta di pagare una tariffa extra. Non so cosa fare, decido alla fine dargli 10 euro, il doppio della tariffa originariamente pattuita.
Ivailo sembra davvero colpito dalla mia decisione di pagare una tariffa extra. Salutiamo e sceniamoo. Lo vedo partire di colpo e un po’ mi vergogno per aver dubitato di lui. La truffa, la rapina, era tutto nella mia testa. Oppure Ivailo ha raggiunto un livello di perfezione tale per cui, dopo averti fregato, ti fa credere che non sia mai successo? Mentre mi intrattengo con questi pensieri arriviamo finalmente al centro abitato di Budva. C’è un chiosco che vende risotto da asporto, davanti un locale trash con una riproduzione della Tour Eiffel con una strobosfera. Forse Ivailo non aveva torto a lasciarci a Buda.