Andrea Fiori, eletto sindaco a 23 anni in un paese vicino Roma, ci ha parlato delle sue responsabilità e di tutte le cose che la gente ignora.
Pubblicato su Vice il 2 novembre 2020.
Durante il lockdown i video dei sindaci italiani arrabbiati coi cittadini hanno fatto il giro del mondo e trasformato alcuni di loro in popolari eroi dei social. La figura del sindaco-sceriffo non è priva di ambiguità, ma sicuramente ha contribuito a dare visibilità a questo ruolo. Eppure, per la maggior parte dei primi cittadini amministrare una città non è di certo un lasciapassare per la popolarità o l’inizio di sfolgoranti carriere politiche.
Vengo da una famiglia molto attiva politicamente: quarant’anni fa mio zio fu eletto sindaco appena ventenne, mio nonno invece era molto attivo nel PCI locale. Anche io ho iniziato da ragazzo a impegnarmi in organizzazioni giovanili e nella Proloco. Quando ho ricevuto la proposta di candidarmi in una lista civica di centrosinistra ero indeciso, mi sembrava una responsabilità troppo grande.
Ma questa zona è nota per la battaglia dell’Arcucciola, in cui sette partigiani giovanissimi vennero trucidati dai nazisti. Può suonare retorico, ma è pensando alla loro sorte che mi sono deciso ad accettare—come se glielo dovessi. Nel maggio del 2019 ho vinto le elezioni, diventando così uno dei sindaci più giovani d’Italia.
Sono ancora un po’ ingenuo, a volte mi accollo cose che nemmeno mi competono e mi prendo rogne facilmente evitabili. Sto provando a diventare più pragmatico: se dai udienza a tutti passi un sacco di tempo ad ascoltare, ma poi non hai tempo per prendere decisioni e dare risposte. I cittadini si aspettano soprattutto queste, possibilmente semplici e immediate. Non è facile, visto che certe scelte avrebbero bisogno di spiegoni di mezz’ora su vincoli, regolamenti e procedure—ma nessuno vuole ascoltarli e pochi sono interessati a capirli.