Da sempre affezionati ai nostri sfruttatori, dagli imprenditori alle fabbriche di bombe, e ancora attaccati alla storia del ‘non c’è mare più bello di quello della Sardegna.’
Pubblicato su Vice Italia il 5 dicembre 2020
Illustrazioni di Juta
Ricordo ancora le prime volte che ho lasciato la Sardegna per viaggiare verso il resto d’Italia. Il viaggio era breve: un’oretta di aereo ed ero a Roma o Milano. Una volta atterrato sulla terraferma, però, provavo lo shock di diventare un’altra persona.
Essendo nato e cresciuto a Sassari, mi consideravo un ragazzo di una città di provincia come molte altre in Italia. Eppure, per chi scopriva la mia provenienza, la categoria mentale più adatta a definirmi era spesso “tizio che viene da una terra indecifrabile e selvaggia, dove ci sono i banditi, tantissime pecore e tutti parlano come Willie dei Simpson.”
A volte capitava che qualcuno mi dicesse, a mo’ di complimento, che non ero come si immaginava i sardi. Per quieto vivere lasciavo perdere, e spesso mi trovavo a fare una risata “autoironica” davanti all’ennesima battuta a tema pastori o sequestratori.
Ed è proprio questa reazione a essere un po’ il problema. Perché noi sardi siamo affetti da una gigantesca sindrome di Stoccolma che ci porta a essere particolarmente gentili con chi ci tratta male e ad affezionarci ai nostri sfruttatori. L’esempio più recente l’abbiamo visto nell’estate della pandemia, quando la Sardegna si è trasformata in un focolaio di COVID-19 a causa dei tanti arrivi da altre zone d’Europa, nonché alla mancanza del rispetto delle più basilari norme di sicurezza in varie discoteche.