Decidere di partire per l’Erasmus nonostante il coronavirus può essere una scelta complicata: ecco i pro e contro, spiegati da alcuni studenti.
Per tanti studenti universitari, la partenza per l’Erasmus è uno dei momenti più attesi del percorso di studi. Ma se arriva nel mezzo di una pandemia—e nonostante la Commissione europea abbia ribadito il suo impegno nel garantire la prosecuzione del programma e ad aiutare i beneficiari—potrebbe essere necessaria una certa dose di coraggio e spirito d’adattamento, visto che si rischia di passarlo alle prese con lezioni a distanza, scarsissime interazioni sociali e importanti limitazioni agli spostamenti.
Ho chiesto a quattro studenti Erasmus attualmente in Italia di raccontarmi le loro storie, per capire cosa li ha spinti a partire ugualmente e se rifarebbero la stessa scelta.
Hanna Potthoff, 25 anni
Studentessa di Storia a Berlino, in Erasmus a Milano
All’inizio della pandemia si diceva che sarebbe stato impossibile fare l’Erasmus l’anno successivo. Io ho continuato a pianificarlo come se niente fosse, a cercare casa e scegliere i corsi, e infatti eccomi qui. Sarà che questo è il mio terzo Erasmus, quindi non mi spaventava l’idea di bruciarmi l’esperienza. Visto che ho quasi finito gli esami e inizio a preparare la tesi, la mia vita è molto concentrata sullo studio e non è poi così diversa da quella che avrei fatto a Berlino.
Sono stata all’Università Cattolica una sola volta per ritirare il tesserino universitario e finora non ho incontrato dal vivo nessuno dei miei colleghi, d’altronde in una lezione online con altri cinquanta studenti di certo non fai amicizia. Le persone che conosco le ho incontrate attraverso l’Erasmus Student Network locale, in più ho la fortuna di vivere con tre coinquilini italiani carinissimi. Passiamo un sacco di tempo insieme, il che non sarebbe successo senza la pandemia.